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20 aprile 2014

Èxodos

Ultimo giorno in terra lombarda, da domani la nuova tappa del Whole World Trip sarà Firenze. Una nuova avventura lavorativa (nel Gruppo En-Eco), una nuova città, un nuovo contesto dove crescere e mettersi in gioco.

Riflettevo, in questi giorni, sul fatto che il nostro nuovo trasferimento/trasloco coincidesse con la celebrazione della Pasqua cristiana.
Le analogie tra la Pasqua cristiana e quella ebraica sono molte: per gli ebrei nel libro dell'Esodo è descritto il passaggio del loro popolo dalla schiavitù alla libertà, per i cristiani il significato di "liberazione" si sposta sul piano metafisico del passaggio a vita nuova, così come Gesù passò dalla morte alla resurrezione.

Lasciare Milano per Firenze è sicuramente qualcosa di molto meno importante di una riflessione escatologica, se vogliamo qualcosa di normale in un'epoca fluida dove i luoghi sono solo una caratteristica nemmeno troppo determinante delle opportunità. Ma nei momenti di passaggio fermarsi a riflettere sul perché e sul come è utile, oltre che bello. Dona un senso, crea una dimensione in cui si è attori attivi, non spettatori.

Su questo piano ho provato ad attribuire significato al nuovo cambiamento. Lo spunto di partenza è stata proprio una riflessione sulla parola ESODO. Non nell'accezione cristiana e nemmeno ebraica del termine, ma in un significato riconducibile alla cultura della Grecia antica, ed in particolare alla tragedia greca.

La tragedia greca era strutturata secondo uno schema ricorrente, di cui si possono definire le forme con precisione. Iniziava in genere con un prologo (prò-logos), che aveva la funzione di introdurre il dramma; seguiva la parodo, che consisteva nell'entrata in scena del coro attraverso dei corridoi laterali (le pàrodoi); l'azione scenica vera e propria si dispiegava quindi attraverso tre o più episodi (epeisòdia), intervallati dagli stasimi, degli intermezzi in cui il coro commentava la situazione che si sviluppava sulla scena. Infine la rappresentazione si concludeva con l'esodo (èxodos). Nell'esodo tutte le situazioni intricate in cui i vari personaggi si erano cacciati trovavano finalmente una conclusione, una soluzione.

Ed è su questo significato che mi sono soffermato. Come se davvero questo èxodos fosse di più di un semplice passaggio da una città ad un'altra. Ma quasi un bel finale di una bella storia, professionale e umana.


6 aprile 2014

Fuori Registro

Titolo del libro

"Fuori registro"


Quarta di copertina

[Dalla prefazione di Luca Martino]  «No, Fuori Registro non è un libro di Starnone sulla malconcia scuola italiana, non è una rock band di fine anni novanta, né il prossimo album di Fabri Fibra.
È un bel libro con un brutto titolo. O con un titolo che c’entra poco con tutto il resto. Non importa, davvero. Importa solo lo stridore fra il percepito ed il sotteso, fra le emozioni di chi scrive e quelle di chi legge. Stridore che nelle immagini più forti è quasi nauseante. Ed allora dovete fare un atto di fede ed entrare nella vita che non avete avuto, o bere “un altro litro di consolazione, prima che arrivi domani”.
Già, perché se volete entrare davvero in Fuori Registro, dovete avere “in corpo il primo vino di una cantina”, come cantava Guccini, o l’ultimo cocktail in uno squallido bar di periferia. Se lo affrontate da sobri rischiate di scorgere solo arte, lì dove l’ubriaco, invece, ritrova tracce di vita vissuta.
Ma anche no. Potreste desiderare di leggere i versi di Pier Paolo Carbone alla lucida luce della vostra vita ragionevole e compassionevole. Potreste volervi sentire superiori nel comfort delle vostre camere arredate con cura, lontani dai sudici vicoli di una città degenere, che sanno di piscio e di tristezza affogata nell’alcol. Già, perché “la birra è un bene rifugio”. Refugium peccatorum. E voi non ne avete bisogno. Potreste trovare ripugnante un verso, un’immagine, una virgola. Voi non siete così.
Ma poi le difese crollerebbero ugualmente. Alla quarta, quinta frase che vi toccherà nel profondo, entrerete in crisi. E potreste sentirvi cani affamati, balene spiaggiate, palmipedi senza coscienza, pappagalli finalmente liberi. Potreste immedesimarvi così tanto nei versi sparsi da pensare che quella vita è proprio la vostra. Magari quella che non avete avuto il coraggio di scegliere.
E potreste sorprendervi, un giorno, a dare un nome ad una protuberanza ghiacciata nel vostro frigorifero. O decidere di smettere di sbrinarlo regolarmente, per vederne nascere finalmente una.»


Der Spiegel: «Il ritratto realistico di una generazione degenere, lo specchio di un'Italia che vive una crisi morale oltre che economica.»

Washington Post: «Un capolavoro! Carbone, al suo esordio letterario, sorprende per la maturità dello stile e la profondità dei contenuti.»

L'Osservatore Romano: «Se potessimo lo inseriremmo subito nell'Index Librorum Prohibitorum. Sono autori come questi che ci fanno desiderare il ritorno della Santa Inquisizione!»

La Frusta Letteraria: «Chiari ed inequivocabili i riferimenti a libri culto della letteratura americana, come Sulla strada di Jack Kerouac e Post Office di Charles Bukowski.»

Il Vernacoliere: «Alla redazione il Pippo l'è garbato da matti. Che dé, più prova della su’ bravura ‘un ci pol’esse’!»


Autore

Pier Paolo Carbone è l'ultimo dei grandi scrittori italiani ispirati dalla Beat Generation. Ed anche il primo che lo neghi apertamente. Vive di parole come solo i markettari sanno fare (uomini del marketing, si intende). Ma non disdegna di vivere di sogni, come solo i consumatori sanno fare.
"Fuori Registro" è il suo primo romanzo, tradotto in 18 lingue e accolto in maniera contrastante dalla critica di tutto il mondo. Ha recentemente dichiarato che è felice di non essere compreso; in fondo, autocitandosi, "domani potrebbe essere il giorno giusto per non farsi capire".