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26 aprile 2020

La Trincea Infinita


La sfida di questa quarantena l’ho persa. La consapevolezza di ciò ha un sapore amaro.

Dopo “appena” 38 anni di vita, mi sono fatto un’idea del perché sono venuto al mondo. Tra studi di filosofia, religione, Cabala, esoterismo, una qualche idea del senso della Vita me lo sono fatto: siamo qui a giocare un complesso gioco, nel quale siamo chiamati ad esprimere la versione migliore di noi.
Che è il modo di tornare all’Uno dal quale proveniamo, sentendoci parte, “essendo” parte del Tutto che ha giocato al gioco della Separazione, affinché potesse meritarsi la ricompensa dell’essere Uno. Dell’Essere.

Le difficoltà esterne, come questa emergenza da Coronavirus, accelerano le dinamiche della sfida e possono portarci agli estremi: diventare migliori o peggiori.

Ecco, io dopo più di 2 mesi di isolamento e 38 anni di gioco nel gioco della Vita, mi sono reso conto di aver perso. O di stare perdendo, se vogliamo essere ottimisti e sperare in un goal nei minuti di recupero.

Il motivo? Sinceramente non lo so.
Sicuramente n
on basta conoscere, o credere di conoscere, le regole del gioco, per andare a meta; serve allenamento, focus sull’obiettivo, determinazione e, soprattutto, essere disposti a perdere tutto.

Questa quarantena mi ha posto di fronte a scelte che mi si ripresentano da anni: quanto tempo dedicare al lavoro, quanto alla famiglia, per cosa lottare, cosa lasciar perdere, dove essere determinato, dove essere flessibile, a cosa rinunciare, a cosa puntare.
Noi scegliamo ogni singolo istante della nostra vita, e le scelte sono alla base del gioco.

In questa quarantena ho scelto di lavorare mediamente 14 ore al giorno (2-3 ore in più di quanto facevo prima), pur avendo 3 figlie a casa cui badare.
Ho scelto di dare loro l’attenzione e il tempo che si dà ad una call sbrigativa e sgradita, che ti capita in mezzo ad un serrato piano di lavori.
Ho scelto di ritirarmi “in trincea”, come ormai chiamo il mio angolo computer sul soppalco di casa, come gesto di resistenza estrema all’emergenza che ci vuole proni.
Ho scelto di resistere a modo mio, tuffandomi nel lavoro e dedicandomi ancora di più agli obiettivi dei miei clienti. Ma ogni notte fatico ad addormentarmi, nonostante l’ora tarda.

Ho scelto di lavorare e non fatturare, per essere solidale con chi è fermo per decreto. Ma ogni istante calcolo le probabilità di insoluti futuri e tremo all’idea che il mio ipotetico altruismo non sia mai riconosciuto.
Ho scelto, e scelgo ancora, di irritarmi se la casa non è gestita alla perfezione, se le bambine costruiscono barricate per ritagliarsi propri spazi franchi, che intralciano il mio prendermi cura di loro.
Ho scelto di non leggere, cosa che da sempre amo fare, perché mi sembra un lusso che non posso permettermi, quando c’è così tanto da fare.
Ho scelto di considerare mia moglie un nemico, un “altro da me” che non mi capisce e che non comprende l’importanza delle mie scelte. Ho scelto di vivere una vita parallela, in trincea, mentre lei combatte in campo aperto.
Ho scelto, e scelgo ancora, l’opposto di ciò in cui credo. E non mi capacito del perché.

Talvolta trovo qualche scusante, ma non ci credo davvero.
Una di queste scuse è che io sia una vittima, quando non ho saputo essere un eroe.


Ho visto un film, nei frangenti di tempo tra la fine del lavoro a computer e l’andata a letto, che ho trovato toccante per molti versi. Il film si chiama “La Trincea Infinita”, ed è ambientato ai tempi della guerra civile spagnola (1936-1939), che si trascina fino all’amnistia tre decenni dopo. Un film che, in questi tempi di quarantena, qualsiasi persona sposata, dotata di senso critico, dovrebbe vedere.
C’è il senso della privazione, c’è il senso dell’amore. E anche tutte le sfumature intermedie.

Mi è rimasto impresso un dialogo immaginario, avvenuto durante un sogno del protagonista (Higinio Blanco), tra lui e un soldato da egli ucciso:
Soldato: "Sei molto coraggioso. Tanto coraggioso da non esserti neanche tolto la vita. Credo tu sia stanco di sentirtelo dire, ma poche persone avrebbero sopportato questa cosa con la tua integrità."
Higinio: "Grazie."
Soldato: "Forse la paura che hai avuto non ti farà passare da eroe, ma ciò non toglie che tu sia stato una vittima."
Higinio, fra le lacrime: "Grazie."

Ecco, da perdente, da persona che non ha saputo perdonare, che non ha saputo scegliere la Luce, che non ha saputo essere migliore, rimane la scusante che forse la sfida che mi si è parata di fronte sia stata davvero troppo ardua per le mie forze.