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27 marzo 2024

La mia storia con il Tai Chi

Vi racconto una storia. È la mia storia con il Tai Chi.

Anni fa lavoravo in un’azienda molto “illuminata”, la cui la titolare (illuminata) a fine anno regalò a tutti i dipendenti una visita da un medico specializzato in medicina cinese. Il medico, italiano, con varie specializzazioni di medicina moderna, ma che poi aveva deciso di praticare solo medicina cinese, ad ognuno fece la terapia che riteneva utile. A me fece sia l’agopuntura che la coppettazione.

Poi mi consigliò di praticare il Tai Chi.


Così mi informai, comprai dei libri, trovai un corso in un paese vicino a dove abitavo e decisi di fare la lezione di prova.
Il corso era serale, alle 19.00. Ma io lavoravo a Firenze, finendo sempre oltre l’orario standard delle 18.00. Tra spostamenti a piedi, treno, più macchina/moto per raggiungere la palestra dove si praticava Tai Chi, un’ora di viaggio era il minimo tempo possibile. Mi dissi che era l’occasione giusta per staccare di lavorare alle 18.00 e decisi di provare.
Alla prima lezione di prova arrivo puntuale, mi cambio e inizio la pratica. Non ci capisco nulla, sono scoordinato e impacciato nei movimenti, ma l’energia del gruppo mi piace e decido subito di fare l’iscrizione associativa e pagare i primi mesi.

Alla seconda lezione faccio notte a Firenze, perché qualcuno si è buttato sotto al treno da qualche parte sulla linea di collegamento con il mio paese.

Alla terza lezione c’è sciopero del trasporto pubblico e arrivo a fine lezione. Nemmeno mi cambio, ma mi scuso con l’insegnante e spiego che non è dipeso da me.

Alla quarta lezione, succede un’urgenza lavorativa molto complessa da gestire ed esco dall’ufficio dopo le 21.00.

Alla quinta lezione, di nuovo un incidente sui binari (questa volta non volontario, ma comunque mortale).

A questo punto, per il bene di tutta l’umanità, decido di chiudere la mia esperienza con il Tai Chi. Quando mia moglie mi chiede perché, le rispondo, sorridendo, che non volevo altri incidenti sulla coscienza.

17 febbraio 2024

Invito alla lettura di "Equazioni dell’umano" di Alida Maria Sessa

Ho recentemente letto un bellissimo libro di poesie: "Equazioni dell’umano" di Alida Maria Sessa, edito da De Luca Editori D'Arte.

Credo sia un libro nel quale immergersi con il coraggio di lasciarsi interpellare dai versi, senza indietreggiare di fronte alle risposte che emergeranno nel proprio animo.

Come l’autrice scrive in un suo componimento: “La poesia è un veicolo emotivo, ci sali sopra e ti porta lontano o sfreccia in aria e voli sul vuoto”.

Il vuoto può far paura, così come le emozioni non positive, ma nella vita tutto va vissuto con intensità e il poeta diventa una sorta di Virgilio che ci accompagna nel nostro inferno interiore, passaggio necessario per poter assaporare anche gli sprazzi di paradiso. 


Le emozioni veicolate dai versi di Alida Maria Sessa sono comunque sempre molto complesse, non riducibili ad una valutazione in bianco e nero; si tratta piuttosto di variegate palette cromatiche, dove anche le tinte più cupe nascondono sprazzi di luce. Il lettore sale sulla poesia e si lascia portare dove ha bisogno di andare, dove un ricordo dell’autrice ne risveglia uno suo, dove una riflessione colta in un verso ne richiama un’altra assopita da tempo, dove un dispiacere apre ad una ferita, dove una ferita apre ad una scoperta, dove una scoperta apre ad una gioia viva, vera. Mentre.
Mentre il verso interrotto ci lascia tutto il gusto dolceamaro di aver condiviso con la poetessa una stessa emozione, un medesimo stato d’animo, pur se partorito da menti e cuori diversi.

Come spesso accade per le raccolte di poesie, il libro non è facile da descrivere, poiché ogni componimento è un’esperienza a sé, che merita di essere vissuta, più che raccontata.

Quella che può essere raccontata è, al limite, la struttura dell’opera. Il libro consta di cinque sezioni che raggruppano un totale di novantatré poesie. La prima parte, che dà nome al libro, è titolata “Equazioni dell’umano”; la seconda parte contiene “Poesie sulla poesia”; la terza parte è titolata “Family Life”; la quarta parte, riprendendo il verso di una poesia, titola “I pesci non vedono l’acqua”; l’ultima parte è denominata “Il buffo dell’amore”.

Le sezioni non costituiscono un vero e proprio raggruppamento antologico, sebbene ci siano alcune tematiche comuni (si va dalla fisica quantistica della prima parte all’amore dell’ultima, passando per contagiosi ricordi di luoghi e persone); si tratta piuttosto di un modo di vedere le cose, che influenza il percorso del lettore verso la scoperta della poetica dell’autrice.

Se la poesia sta nell’intenzione con cui ogni giorno posi lo sguardo, come recita Sessa nella poesia “Stringere la vita”, allora l’intenzione posta da chi scrive è di per sé un faro che aiuta il lettore a guardare con occhi nuovi al suo vissuto (passato, presente o futuro che sia).

Trovo che questo sia il grande pregio della poetica di Alida Maria Sessa, ci accompagna in una ricerca di significato che è il significato stesso dell’esperienza letteraria offerta al lettore, parafrasando un verso dalla sua poesia “Vita”.

Potrei citare decine di versi di rara bellezza che mi sono rimasti impressi, ma ribadisco che, per godere dell’opera letteraria, bisogna affidarsi all’esperienza diretta: è solo attraverso la lettura del libro che si può percepire la bellezza e completezza dell’esperienza estetica costruita dalla scrittura di Alida Maria Sessa.

Una nota finale meramente di natura tipografica: avrei preferito che le belle tavole di Enrico Benaglia che accompagnano le sezioni del libro fossero state a colori, per rendere giustizia all’ampiezza delle “sfumature emotive” di cui Sessa è stata capace.