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31 dicembre 2009

La fine è il mio inizio

Il titolo di questo post è preso in prestito dall'ultimo libro di Tiziano Terzani. Ma non ho la pretesa di scrivere concetti filosofici chissà quanto complicati. Voglio solo vedere la fine di questo anno con quello spirito positivo che solo la prospettiva dell'imminente inizio può darmi.
In virtù di questa positiva proiezione al futuro, io e Maria Giovanna passeremo il capodanno a Monaco di Baviera, per poi andare a Vaduz, in Liechtenstein. Aggiungeremo così un nuovo stato alla lista del Whole World Trip... il che speriamo sia benaugurale, e ci porti un anno di viaggi!
Buona fine e buon inizio a tutti.

27 dicembre 2009

Apologia della Pubblicità

"La funzione vera della pubblicità consiste nel vestire gli oggetti esistenti con significati simbolici, unendo alla loro funzione pratica (del tutto muta ed inespressiva) un valore linguistico di comunicazione sociale e - in senso antropologico - culturale.”
Michele Rizzi

22 dicembre 2009

Ancora sul Marketing Etico

Riporto un interessante scambio di commenti avuto su Facebook, in seguito alla pubblicazione del precedente post.
GIOVANNI: Interessante! L'esempio però è falsato... ci sarebbe sulla scatola il posto per indicare dove è stato prodotto, i controlli che sono stati fatti sulle materie prime e informazioni su cosa si sta realmente comprando, invece che la targhetta "Isy Pil" sul tonno o la scritta "Live Miusic". Anche l'inglese ne gioverebbe!
LUCA: Non è che l'esempio sia falsato... è solo una semplificazione. Le note sul prodotto a cui tu fai cenno sarebbero prese in considerazione da un consumatore razionale, che compie le sue scelte in base ad un'attenta valutazione del rapporto costi/benefici (intendendo per benefici anche lo scarso impatto ambientale, la salubrità degli ingredienti, la bontà del processo produttivo, ecc.). Ma l'uomo non è un animale razionale. Anche la teoria marginalista, che domina le analisi proprie della microeconomia moderna, ci insegna che il valore imputato ad un bene è un fatto estremamente soggettivo. Tale valore è sempre più frutto di impulsi emotivi, e poco di valutazioni razionali. Tornando all'esempio di Geppi De Liso, il prezzo sarebbe l'unica discriminate capace di influenzare le scelte d'acquisto. In pratica un acquirente non sarebbe disposto a pagare di più per un prodotto del "Commercio Equo e Solidale", se non fosse gratificato dal vedere sulla confezione che acquista il logo indicativo di tale mercato, se non ci fossero messaggi testuali che gli assicurassero la bontà della sua scelta d'acquisto. E quei messaggi li scrive un copywriter, quei loghi li fa un grafico. Cioè chi fa marketing. In ultima analisi anche scrivere "Luogo di produzione: Italia", oppure "Questo prodotto è stato coltivato al caldo sole dell'Italia, nel pieno rispetto delle normative in vigore", fa differenza! Scegliere tra una frase o l'altra è una scelta di brand identity; la prima prettamente informativa, la seconda più emozionale. ... In pratica, mere scelte di marketing.
GIOVANNI: Trovo inquietante che inizi ad essere la domanda a determinare l'offerta in questo modo: quando chi produce cerca di soddisfare chi compra invece che la sua voglia di fare bene il proprio lavoro la cosa si fa pericolosa. Visto così il marketing non è una cosa che si può scegliere, se ci metti dentro qualsiasi scelta a monte di uno scambio tutto è marketing, allora si tratta solo di farlo per il """bene""". Mettere un nudo in copertina e raddoppiare le vendite di un settimanale è anche quello marketing come aiutare un produttore a mettere a fuoco i punti di forza del suo lavoro e informarne i futuri clienti. A me sembra che il vero problema sia la creazione di bisogni indotti e la deviazione degli istinti per aumentare le vendite. È marketing volendo anche il passaparola, ma quello porta con se contenuti, non solo richiami per l'inconscio: mi dice che tipo di persone hanno apprezzato un prodotto e spesso per me rappresenta una pubblicità negativa, mi consente di fare una scelta con più informazioni... Se ti rivolgi ad un pubblico che non è in grado di effettuare scelte razionali è come avere a che fare con un gregge di pecore: puoi anche portarle tutte al macello, il tuo potere su di loro ti permette di farti domande su cosa gli stai facendo o fregartene. Il problema morale li sfuma, è difficile in quel caso dire cosa sia giusto, puoi considerare i cori razzisti negli stadi un risultato della natura da difendere come la foresta amazzonica... A mio parere le cose sono giuste o sbagliate solo se ci sono libertà da difendere.
LUCA: In effetti il problema della responsabilità del singolo permane: fare marketing etico è una scelta degli operatori, che si rinnova di volta in volta in ogni progetto, perché è dietro l'angolo la tentazione di creare "bisogni indotti". Nella mia analisi mi sono limitato a dire che il Marketing non è "ontologicamete sbagliato". Ma, come per il mondo della Ricerca, rimane la responsabilità del singolo che sceglie l'approccio al problema e l'utilizzo delle risorse metodologiche e tecnologiche nel pieno rispetto di idee e ideali a lui cari. ... E, per quanto mi riguarda, ritengo le libertà da difendere, come te, prioritarie!

20 dicembre 2009

Marketing & Etica

Dall’ultimo post è rimasta aperta una domanda:
è etico fare marketing?
Indipendentemente dal rispetto di un codice deontologico (tra l’altro ancora poco chiaro in Italia, poiché ogni scelta deontologica è demandata all’autoregolamentazione interna delle diverse associazioni di categoria), resta l’incognita del valore intrinseco della promozione al consumo.
È pur vero che si può fare marketing per Associazioni di Volontariato, ONG e anche Campagne di Utilità Sociale, ma la stragrande maggioranza delle azioni pubblicitarie non sono mirate a raccogliere fondi per questa o quella ONLUS, bensì ad invogliare i consumatori a comprare prodotti o servizi, in quantità sempre maggiori e sempre più frequentemente.
La propensione al consumo è senz’altro un elemento fondamentale per sostenere la crescita economica, ma oggigiorno forse andrebbe ripensata. I ritmi di sviluppo sostenuti a cui abbiamo sottoposto la terra ci hanno portato ad un punto di non ritorno, un orizzonte degli eventi oltrepassato il quale non c'è speranza di salvezza per il nostro pianeta.
La presa di coscienza di tale situazione induce anche i più accaniti sostenitori dell'equazione "crescita economica=maggior benessere" a propendere per una decelerazione dei ritmi di produzione e consumo attuali; si parla già da tempo di puntare sulla decrescita, come ho già scritto su questo sito un anno fa.
Ma al di là del sostenere o meno uno stile di vita consumistico, resta la legittima domanda su se sia etico fare marketing, se cioè sia giusto utilizzare conoscenze economiche, culturali e psicologiche per effettuare una comunicazione grafica, sonora e testuale volta a influenzare le scelte di acquisto del consumatore (nonché ad aumentarne la propensione al consumo).
Mi sono posto questa domanda dal giorno stesso in cui ho iniziato a lavorare in Archimede Creativa.
D'altronde anche quanto studiavo Ingegneria Aerospaziale mi ero scontrato con problemi di compatibilità tra i miei ideali e quelli del mondo lavorativo (ma anche solo universitario), legato all'industria aerospaziale. Ricordo che all'epoca con Ingegneria Senza Frontiere di Pisa e Ingegneria in Movimento - Sinistra Per, organizzammo un dibattito sul tema "Ricerca ed Etica".
Ma interrogarsi circa il ruolo della responsabilità individuale nel fare ricerca è forse più scontato che nel fare pubblicità.
Il famoso dilemma che tanti scienziati nel dopoguerra si posero, ovvero se fosse stato giusto o meno creare la bomba atomica, ha sempre tenuto vivo il dibattito sull'importanza dell'Etica nella Ricerca.
Tuttavia tale dibattito non sembra così vivo nel mondo del Marketing. Anche l'Economia si interroga sulle vie da seguire per raggiungere un'eguaglianza concreta sul piano distributivo, ma nello stesso tempo non si pone problemi sulle dinamiche che muovono il consumo.
Per questa ragione ho a lungo cercato di capire se sul piano ontologico ci fosse una ragione per lavorare in questo settore, o se fosse opportuno impiegare le mie energie in altri ambiti.
Una risposta molto convincente l'ho trovata in un libro (dal titolo Marchi) di Geppi De Liso, direttore creativo dello Studio De Liso di Pubblicità e Comunicazione Visiva (e per anni docente del corso di Laurea in Marketing e Comunicazione d'Azienda dell'Università degli Studi di Bari). Egli prova a fare un'astrazione, e ad immaginare un mondo senza brand né pubblicità.
Riporto di seguito il passaggio del libro che ho trovato illuminante:
"[...]Per spiegare meglio questi concetti sulle capacità di differenziazione dei prodotti effettuate dalla marca ricorro ad una dimostrazione per assurdo: fingiamo che non ci siano marche, che non siano mai nate. Se entrassimo in un supermercato - ammesso che possa esistere così - ci troveremmo di fronte ad una scena di questo tipo: i prodotti sono presentati in confezioni anonime, bianche, riportanti solo il nome del contenuto, neanche il nome del produttore, perché altrimenti sarebbe la marca, nessuna decorazione sulla confezione, o packaging, nulla che differenzi i prodotti, tranne un elemento della comunicazione che non può essere soppresso se il prodotto vien messo in vendita: il prezzo. Certo, perché anche il prezzo è una parte determinante della comunicazione d’impresa, determinato da strategie di marketing oltre che da conti economici.
E i prezzi parlano. Un prezzo alto dirà: “Se compri me sai di ottenere un prodotto di qualità superiore”, il luogo comune “più spendi meglio spendi” agisce in suo favore. Un prezzo basso dirà: “Io non ho molte pretese, se non puoi permetterti qualcosa di meglio, accontentati di me”.
Un prezzo medio invece dirà: “Io sono a metà strada, non sarò di qualità superiore, ma il prezzo non è eccessivamente alto, puoi accontentarti”.
Posti di fronte a questo tipo di mercato come ci comporteremmo?
Per esperienza, avendo posto spesso questa domanda in vari corsi, so che stravince il prodotto dal prezzo medio.
Bene, che fine farebbero gli altri produttori? O eguagliano il prezzo, e allora non sono più riconoscibili, o escono dal mercato, cioè falliscono.
Pensate a cosa sarebbe il mercato gestito in oligopolio, cioè da pochi produttori vincenti, e a quanti lavoratori sarebbero senza lavoro.
Ma ecco che le cose stanno diversamente, perché la comunicazione d’impresa - brevemente la pubblicità - diversifica i vari prodotti, riempiendoli di emozioni, dando loro una personalità, che va ad aggiungersi alle loro prestazioni o alla capacità di rispondere ai bisogni, rendendoli, in una certa misura, unici e talvolta mitici."
In pratica la pubblicità è la base del libero mercato. Permette la coesistenza di prodotti e servizi in libera concorrenza fra loro. Oggigiorno, poi, è sempre più orientata verso i gusti propri del pubblico, senza la pretesa (forte invece agli inizi della seconda industrializzazione) di influenzarli. Si è passati, per dirla in gergo tecnico, da una logica push ad una pull.
Un consumatore moderno, quindi, può far pesare ancor di più le sue scelte d'acquisto, ed influenzare la produzione.
Il marketing sarà sempre lì, a garantirgli la possibilità di scegliere.

13 dicembre 2009

...ulteriori riflessioni su Google e sul SEM

Tempo fa scrissi 8 domande da rivolgere ai manager di Google, in occasione di un seminario sullo strumento AdWords (ovvero il sistema di annunci sponsorizzati che escono generalmente a destra nella SERP).
Per ovvie ragioni di opportunità, tali domande non furono mai poste.
Comunque le ho recuperate, fra i cumuli di cartelle digitali che affollano il mio hard disk, per continuare la riflessione avviata la scorsa settimana circa i rischi del monopolio nel web-searching.
Alcune delle domande che seguono potrebbero risultare poco chiare a chi non si occupa di SEM (Search Engine Marketing), ma danno comunque idea di quanto sia complessa la riflessione attorno alla posizione dominante di Google.
Punto Primo:
Ogni quanto viene cambiato l’algoritmo con cui Google effettua il ranking dei siti per i risultati delle ricerche on-line? Ha senso investire in ricerca, se poi i contenuti delle “scoperte” sono estremamente precari e non garantiti nel futuro?
Punto Secondo:
Come vengono analizzati i dati dell’utilizzo di AdWords da parte delle WebAgency? Cioè, papà Google sa cosa fa Archimede, e cosa fanno migliaia di altre Agenzie o utenti privati per posizionare i propri annunci; cosa ci garantisce che giochiamo ad armi pari? Non è forse vero che Google può in qualsiasi momento modificare le regole del gioco, in base alle analisi di utilizzo, per aumentare i propri guadagni?
L’impressione che si ha conoscendo l’evoluzione di AdWords è che Google abbia portato il sistema a generare un grandissimo fatturato, semplicemente aumentando la competizione tra gli utenti. Il sistema delle aste, sebbene compensato dalla valutazione del CTR, porta, con l’aumento degli annunci in competizione, ad un aumento esponenziale dei costi per parola chiave; Google se ne rende conto?? Qual è la sua strategia per il futuro? Gli va bene semplicemente che ci siano milioni di scontri tra competitors nuovi e in ascesa, contro quelli vecchi e in declino, col solo scopo di massimizzare le entrate, sfruttando la sua posizione di monopolio del WebSearching?
Punto terzo:
Come è possibile che ci siano grandi gruppi in grado di stracciare i posizionamenti curati dalle web agency? Due esempi su tutti: Facebook se cerchi persone, oppure eBay se cerchi un prodotto. Ci sono accordi commerciali con Google che si fanno beffe delle regole di AdWords? Perché eBay può fare uscire un suo annuncio a bassissimo costo e sopra uno che magari altri hanno pagato più di un euro? Si deve competere ad armi impari? Teniamo presente che qui non vale la motivazione del CTR o del punteggio di qualità, perché spesso gli annunci di eBay c’entrano poco con la ricerca effettuata.
Punto quarto:
Gli investimenti in AdWords aiutano il posizionamento nell'organico della SERP?
Se così fosse sarebbe assurdo, poiché basterebbe pagare Google per essere posizionati (contro ogni logica di "qualità della ricerca"); ma se così non è (come di fatto affermano i manager di Google) allora si introduce un elemento negativo per chi investe in AdWords, poiché potrebbe perdere opportunità di posizionamento nell'organico, in quanto il traffico sul suo sito avverrebbe tramite gli annunci AdWords.
Punto quinto:
Come possiamo ottenere una “pre-valutazione” dell’annuncio? E’ ovvio che Google guadagna sui nostri errori, e preferisce che ci sia battaglia fra gli utenti a suon di rialzi alle aste per le parole chiave, ma ci vorrebbe un minimo di prova per limitare l’investimento iniziale. Siccome Google ha miliardi di informazioni in statistiche, potrebbe offrire un servizio di valutazione annunci, che incroci i dati in memoria, e permetta di capire come si comporterà un nostro annuncio in varie condizioni di WebSearching.
Punto sesto:
Perché, se l’obiettivo di Google è dare al navigatore quello che cerca, non ha creato un progetto di valutazione della soddisfazione clienti? Come si può considerare un click su un annuncio come un “sì, mi interessa” e magari quel click non ha generato nessun introito perché la permanenza in quella pagina è stata inferiore al secondo?
Non si può prevedere una sistema di “costi per venduto”, ed uno di “costi per impressions”? Una sorta di diversa tipologia di campagna AdWords, che ci faccia pagare (ovviamente molto di più), ma solo sul prodotto realmente venduto.
Legare i due sistemi (come avviene attualmente), dando come vantaggio dell’annuncio attinente una scontistica sul costo delle KeyWords, è forse tecnicamente più semplice per Google, ma commercialmente difficile da gestire.
Punto ottavo:
E’ possibile fare uno scambio alla pari? Ovvero ospitare annunci di altri sui nostri siti, in cambio della visualizzazione dei nostri siti sull’enorme rete di siti che partecipano alla campagna AdWords. Lo scambio, ovviamente, oggi è possibile, ma è decisamente svantaggioso; nel senso che da una parte bisogna essere paganti e dall’altra pagati, ma il gap tra le due voci è estremamente ampio. Per farla breve, se io accolgo un banner che viene visualizzato 1000 volte sul mio sito, prendo 1, di contro se ne voglio piazzare uno mio sul sito di un altro, per 1000 impressions, in proporzione, pago 100. Non sarebbe interessante creare un sistema paritario per favorire lo scambio di proposte pubblicitarie?
Ecco, ho riportato un po’ di cose che non tanto mi piacciono di Google. Questi 8 punti, se sviluppati, potrebbero portare ad un sistema di SEM più evoluto e con meno variabili incerte. La cosa peggiore di tale incertezza, è che è tutta imputabile a Google. Cioè la gestione efficiente del posizionamento, sia nell'organico che nella colonna degli annunci sponsorizzati, è impossibile da garantire, poiché soggetta a sistemi non trasparenti di gestione degli algoritmi di indicizzazione.
Ma ora chiudiamo questa riflessione ed apriamone una che in ordine di importanza vien ben prima: il Marketing è giusto? La Pubblicità, che è l'attività più evidente delle politiche di marketing delle aziende, è etica?
Non parlo di questa o quella pubblicità, ma della "fattispecie astratta" del fare pubblicità. In ultima analisi, come può un comunistello come me lavorare in un'agenzia di comunicazione integrata??
La risposta alla prossima volta...

6 dicembre 2009

Google e la verità relativa

Alcuni mesi fa sono andato con una collega a seguire un seminario presso la sede italiana di Google, a Milano.
Per chi come me lavora sul web, Google è un po' il "monopolista per eccellenza" cui dar conto, il tiranno indiscusso che regola indirettamente ogni strategia di web-marketing, posizionamento, e perfino la progettazione di un sito web.
Da anni ormai sul web non si muove foglia che Google non voglia.
Google negli USA indirizza oltre il 60% del traffico web, mentre il suo diretto competitor, Yahoo!, è sotto il 20%. Forte di questa leadership, Google da solo raccoglie quasi l'80% degli investimenti pubblicitari su internet.
Per questa ragione, forse, è stato particolarmente emozionante entrare nella sede di Google Italia. Ma ben presto l'ammirazione per il colosso di Mountain View si tramuta quasi in paura, in uno timore inconscio per il pericolo che tale strapotere comporta.
Tuttavia la riflessione sulla bontà o meno di Google è molto complessa, e non può esse risolta con sbrigative prese di posizione anti-monopoliste.
Innanzitutto bisogna considerare il "vantaggio dello standard".
Chiunque progetti siti internet parte dal valutare il futuro posizionamento del sito nella SERP (Search Engine Results Page) di Google. Se dovesse farlo per decine di altri motori di ricerca sarebbe un dramma!
L'utente stesso ha un vantaggio nell'usare un solo motore di ricerca: diventa uno strumento a lui noto, di cui riconosce (seppure in maniera limitatissima) la logica dietro i risultati; ciò gli permette, ad esempio, di non dover imparare alcun indirizzo internet, ma semplicemente ricordare la combinazione di parole chiave che gli restituisce, nelle prime posizioni della SERP, il sito di suo interesse.
Il nodo centrale è che la ricerca sul web pare non avere alcuna oggettività nei risultati: tutto è affidato al complesso algoritmo del Search Engine scelto, e nulla può l'utente per migliorare il processo di ricerca, se non valutare attentamente le parole da digitare per raggiungere il proprio obiettivo informativo.
Un esempio del caos che regna nell'utenza web al semplice "cambio di standard", lo si può vedere digitando "luca martino" in Google e su Bing (il nuovo motore di ricerca sviluppato da Microsoft). Con Google questo blog compare addirittura primo nella SERP, nonostante il titolo (WWT, che sta per whole world trip) non abbia attinenza diretta con le key words digitate. Utilizzando Bing, invece, non c'è traccia di questo blog, nemmeno nelle pagine successive alla prima. Quindi stesse parole chiave, ma risultati notevolmente diversi.
Le ragioni di un così discordante ranking dei due motori di ricerca per le key words costituite dal mio nome e cognome, sono molteplici, e non basterebbero mesi di studio per venirne a capo. Però questo esempio ci permette di fare una semplice constatazione: i motori di ricerca ci fanno vedere quello che vogliono.
In pratica non esiste alcuna garanzia che digitando delle parole chiave i search engines ci restituiscano "la realtà" presente sul web. Semmai, ci daranno "la loro realtà".
Questo vale per tutti i contenuti, non solo per i casi in cui i motori di ricerca praticano una vera e propria censura.
A proposito di censura, famoso è il caso dell'accordo di Google con il governo Cinese, che ha dato incredibili risultati, come l'oscuramento relativo alla persecuzione perpetrata ai danni del movimento spirituale pacifista "Falun Gong"; le stesse parole digitate in occidente danno un risultato, mentre con la versione cinese un altro.
Ma parlare di controllo dell'informazione non è esatto. Se Google praticasse realmente un controllo dell'informazione perderebbe credibilità e nel giro di poco tempo sarebbe sostituito con altri search engines.
Tuttavia quello che l'utente dovrebbe sempre tenere ben presente facendo navigazione libera tramite i motori di ricerca è che i risultati sono sempre parziali e non rispecchiano necessariamente la realtà. Possiamo senz'altro dire che c'è una stretta correlazione tra il mondo reale e quello rappresentato per immagini e testi dal web, tuttavia questa relazione è talvolta labile, e talvolta non veritiera. Spesso a questo problema di non corrispondenza tra web-reality e reality, si aggiunge il fatto che affidiamo la ricerca causale, logica, intellettuale e culturale ai motori di ricerca, mentre dovrebbe restare un'azione esclusivamente sotto il controllo della nostra intelligenza e voglia di Verità.
Ad ogni domanda, Google ci darebbe sempre e solo la sua verità. Estremamente relativa.