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5 settembre 2013

Perché Android 4.4 KitKat è uno Scherzo Infinito. E perché i nomi sono una cosa seria.

Ormai è sulla bocca di tutti: il prossimo Android 4.4 si chiamerà KitKat.

La tradizione dei naming del sistema operativo per dispositivi mobile di Google raggiunge il suo apice più controverso: non un generico nome di dolce, ma il nome di un brand di prodotto conosciuto e diffuso a livello mondiale.

Questa dunque l'evoluzione dei naming delle varie versioni di Android...
  • 1.5 Cupcake
  • 1.6 Donut
  • 2.0 Éclair
  • 2.2 Froyo
  • 2.3 Gingerbread
  • 3.0 Honeycomb
  • 4.0 Ice Cream Sandwich
  • 4.1 Jelly Bean
  • 4.4 KitKat

Quando la notizia della partnership fra Google e Nestlé è stata ufficializzata, il mio primo pensiero non è stato "che geniale mossa di marketing". E nemmeno "che pessima mossa per Google associare il proprio nome ad una multinazionale così discussa come Nestlé".

Il mio primo pensiero è stato: il Tempo Ante-Sponsorizzazione è finito.
Ovvero mi è tornato alla mente il visionario futuro prossimo descritto da David Foster Wallace nel suo corposo libro Infinite Jest (Lo scherzo infinto), nel quale le multinazionali, alla continua ricerca di spazi per imporre il proprio brand, ottenevano il diritto di sponsorizzare un intero anno solare.
Invece di pratici numeri, entravano così nella mente delle persone (e nella storia) l'Anno della Saponetta Dove in Formato Prova oppure l'Anno del Pannolone per Adulti Depend e perfino l'odiatissimo Anno dell'Upgrade per Motherboard-Per-Cartuccia-Visore-A-Risoluzione-Mimetica-Facile-Da-Installare Per Sistemi TP Infernatron/InterLace Per Casa, Ufficio, O Mobile Yushityu.
Il periodo prima di questa rivoluzione veniva indicato come Tempo Ante-Sponsorizzazione.
D'altronde il nome del tempo ha sempre rivestito un ruolo importante nelle "strategie di comunicazione" di imperi e regimi, non a caso i mesi dell'anno in Occidente ci ricordano ancora nomi di dei o imperatori romani. Perché il tempo è di tutti e misurarlo, "chiamarlo" è una necessità imprescindibile. E non a caso ci sono state "rivoluzioni" nei naming per affermare nuove ere, come nel caso del Calendario Rivoluzionario Francese.


Ecco perché la decisamente invasiva mossa di usare il naming di due prodotti molto diffusi per fare una gigantesca operazione di co-marketing mi è sembrato il campanello d'allarme definitivo: ormai nemmeno i nomi sono al sicuro. Il Tempo Ante-Sponsorizzazione è finito.
Il "nomina sunt consequentia rerum" di giustiniana memoria, diventa quindi un "nomina sunt serva rerum", stravolgendo il ruolo stesso dei nomi nella comunicazione fra le persone.

Non starò qui ad analizzare tutte le teorie di neuro-marketing che sottostanno alla partnership tra Google e Nestlé, né voglio schierarmi a favore o meno di tale scelta. Voglio solo evidenziare che è una mossa di portata epocale.
Il fatto che qui non si stia giocando con i nomi dei mesi o degli anni, ma su quelli di prodotti realizzati da aziende private, non diminuisce la portata storica dell'operazione. Nell'epoca del consumismo i prodotti diffusi a livello globale sono beni pubblici.
Se la Nutella decidesse di chiamarsi Crema di Silvio Berlusconi, dopo una OPA aggressiva di Fininvest verso Ferrero, come vi sentireste??
Smettereste di mangiare Nutella? Scrivereste a Giorgio Napolitano per concedere la grazia a Silvio?
Insomma, nessuno vuole trovarsi in una situazione del genere!

Lo so, starete pensando "Ma dai, è un'esagerazione! Il Berlusca non potrebbe cambiare il dome di Nutella in Crema di Silvio Berlusconi". Guardate che non è fantascienza o fanta-marketing, perché è già successo. Da circa vent'anni milioni di italiani non gridano più Forza Italia quando guardano le partite della nazionale...

Ma allora non c'è speranza, siamo condannati a vedere sulle carte di identità dei nostri figli che sono nati nell'Anno dell'iPhone 8s oppure in quello della Pasta Fresca Fresca & Buona Buona Giovanni Rana oppure (Dio non voglia!) nell'anno della Crema di Silvio Berlusconi??
Non credo.
Avete mai sentito un francese dire che torna dalle ferie dopo il Cardo del Fruttidoro? O che fa il compleanno di Brumaio, nel giorno del Tacchino? Io no. Evidentemente nemmeno la determinazione dei rivoluzionari francesi è riuscita ad imporre le proprie strategie di comunicazione. Col tempo, il buon senso trionfa sempre. O almeno spero.

Ma ora torniamo al tema centrale e al titolo del post.
Questo post doveva intitolarsi Google, Nestlé e la profezia di David Foster Wallace. Ma poi ho pensato che, per coerenza, il focus doveva essere sui prodotti, perché sono loro la chiave per comprendere l'importanza dei naming. Come ho scritto prima, in questa epoca storica i prodotti di largo consumo vanno considerati beni pubblici. E un bene pubblico non può essere trattato con leggerezza.
Nel corso della mia carriera professionale ho lavorato alla scelta di decine di naming di aziende, brand o prodotti, ed ho sempre avuto piena consapevolezza dell'importanza dei nomi che andavo a proporre.
Nella Bibbia "dare il nome" ha un significato ben preciso: significa avere facoltà di dominio sulle cose nominate. Ma a tale facoltà è associata una grande responsabilità. I genitori danno i nomi ai loro figli, ma li custodiscono e li crescono.
Se si abusa della facoltà di dare i nomi senza associarvi una buona dose di responsabilità, si commette un errore imperdonabile.

Per spiegare il concetto con un esempio, è come se, per fare eticamente un'operazione di co-naming come quella siglata dalle due multinazionali, Nestlé avesse dovuto prima assicurarsi che il codice sorgente del sistema operativo Android 4.4 fosse ben fatto e non nascondesse insidie (come porte aperte per la sottrazione di dati all'insaputa degli utenti) e Google avesse dovuto investigare sulle strategie di vendita di latte in polvere della Nestlé alle mamme non abbienti africane.

La domanda è: credete che Nestlé abbia assunto programmatori per l'analisi del codice di Android o Google abbia mandato medici in Africa prima di siglare l'accordo?