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24 giugno 2016

L'Inghilterra che mi ricordo e la sbornia del dopo Brexit

Il risultato del referendum in Gran Bretagna mi ha riportato alla mente due distinti periodi della mia vita nei quali ebbi modo di conoscere bene quel popolo che oggi è sotto gli occhi e sulla bocca di tutto il mondo.
Un popolo incredibilmente più complesso dell'immagine che ha saputo "vendere" agli altri stati.

Nell'estate dei miei 18 anni volai con un amico in Inghilterra. Il patto con i nostri genitori era chiaro: avete i soldi per una settimana, dopo di che tornate in Italia. Trovammo lavoro dopo pochi giorni e restammo a Londra per due mesi.
Il mio inglese migliorò sensibilmente, ed anche la mia autostima: Londra era la città dove chiunque poteva trovare una via, una sua realizzazione. Feci il "sostituto" lavapiatti all'inizio, poi un po' il cameriere, infine mi dirottai in periferia per fare il muratore.
Nei weekend andavo in Trafalgar Square e mi chiudevo nella National Gallery. Passavo ore e ore a guardare i dipinti dei maestri italiani, rendendo grazie a quella illuminata nazione che mi consentiva di farlo gratuitamente.
Guadagnavo tanto e potei licenziarmi con una settimana di anticipo rispetto al rientro in Italia; investii quel tempo libero andando in giro per musei.
Questa era l'Inghilterra del nuovo millennio (correva l'anno 2000).

Mi capitò di tornare nel Regno Unito per un periodo di tempo più lungo. Era il lontano 2006 ed avevo scelto come meta Cambridge.
Lavoravo contemporaneamente in un ristorante italiano, in un'agenzia di lavoro interinale e in un college. Per lo più era proprio in quest'ultimo luogo, il Gonville and Caius College, che passavo più tempo. Mi sentivo accettato dalla comunità locale di "immigrati" ed anche dai ricchi studenti inglesi, che beneficiavano della mia conoscenza dei vini italiani nelle loro cene di gala.
Fu un periodo bello e intenso (lavoravo anche 18 ore al giorno, dormendo pochissimo), ma vi posi termine decidendo di tornare in Italia: in ultima istanza, mi ritrovai a pensare che non aveva molto senso vivere in Inghilterra per servire cibo italiano, consigliare vini italiani e nel tempo libero andare nei musei ad ammirare le opere di artisti italiani.

Posi così fine alla mia permanenza in Gran Bretagna, ma ho continuato a portarla nel cuore, più che mai in questi ultimi tempi. Ho ancora amici che vivono lì, e non potevo vivere questo referendum in maniera neutra.

Alla vigilia della giornata referendaria ho scritto che, indipendentemente dal risultato, ci sono delle colpe del sistema-Europa che vanno affrontate. E lo confermo, ora che è sancita la BREXIT e che si aprono scenari inquietanti per tutti i cittadini dell'UE.
Ma vorrei attribuire qualche colpa anche a quella popolazione (per lo più anziana, disinformata e opportunista, ci dice l'analisi del voto) che ha spaccato il Regno Unito e ha portato a questa situazione di crisi planetaria.

Chi ha vissuto in Inghilterra ed ha bevuto almeno una volta una pinta di birra in un pub non turistico, di quelli dove incontri la classe operaia vera, non può essere sorpreso dal risultato di questo referendum. Mi ricordo benissimo la diffidenza con cui ci trattavano (noi forza lavoro europea, qualificata e a basso costo), così come ricordo che tutti i datori di lavoro che ho avuto preferivano un italiano ad un inglese: se c'era da lavorare tanto e senza fare storie, un italiano o un polacco erano meglio di qualsiasi giovane inglese. Non è superfluo aggiungere che ogni singola ora di lavoro che ho svolto sul suolo britannico era in regola, pagata bene, e con tutti i diritti che ne conseguivano.

Proprio per questo "virtuoso sfruttamento" apprezzavo l'intelligenza dell'Inghilterra, che apriva le porte a chiunque avesse da offrire qualcosa al proprio sistema economico, pur rimanendo gelosamente se stessa.
Cosa è successo, quindi, ai miei amici inglesi per arrivare a questa scelta?

Forse hanno solo dato voce ai loro istinti peggiori, quelli che hanno sempre avuto dentro, ma che fino all'altro giorno tenevano a freno. Di quelli che sono soliti sfogare solo il venerdì sera, dopo pinte di birra o bicchieri di gin, nella "sicurezza" di una strada, non certo dentro un'urna.

Ci sono studiosi che affermano che l'intera Rivoluzione Industriale, senza il gin, non sarebbe stata possibile. Lavorare come schiavi 5 giorni a settimana, reprimendo ogni istinto fino al venerdì sera (momento di libero sfogo di qualsiasi frustrazione), era una prassi voluta e favorita dal sistema capitalistico dell'Inghilterra del XVIII secolo (che non a caso aveva inserito il gin nel salario degli operai).

La Gran Bretagna è un paese con sacche di ignoranza incredibili, mancanza di visione di insieme (sul piano nazionale, figurarsi quindi sul piano europeo), paure ed egoismi radicati.
Quindi, semplicemente, quello della permanenza nell'UE non era un tema su cui fare un referendum. E sicuramente non doveva essere consentita una campagna di comunicazione pro-Brexit il cui messaggio era: è venerdì sera, i pub sono aperti e se votate BREXIT avremo gratis birra e gin a fiumi!

Perché la sbornia del giorno dopo è toccata a milioni di ignari e innocenti cittadini europei.

La famosa e osannata foto di Joel Goodman, che ritrae scene di strada a Manchester, nell'ultima notte del 2015. Una foto bellissima, con luci e ombre perfettamente bilanciate, personaggi che sembrano appartenere ad un quadro rinascimentale, pose plastiche quasi michelangiolesche. Il preludio di un 2016... col botto.