Oggi ho seguito con estrema attenzione tutto l'intervento di Matteo Renzi al Senato della Repubblica, per chiedere la fiducia sul proprio governo.
L'ho trovato intelligente, coraggioso e condivisibile su tutto.
Anche la citazione demagogica di alcuni episodi privati è servita a portare nell'aula quel senso di "urgenza" che pervade il Paese reale, urgenza di profondo rinnovamento, di cambio di passo nelle istituzioni, nel mondo del lavoro, nel mondo della scuola.
Oggi la speranza che da tempo avevo in Matteo Renzi è diventata fiducia. La differenza fra i due stati d'animo è, per dirla con Matteo, in una data. Quella di oggi.
Ho però trovato sconcertante il giudizio di politici e giornalisti che si sono limitati a contare gli applausi ricevuti da Renzi o a criticare il tono acceso del suo discorso ("da campagna elettorale" hanno detto, come se non si potesse fare un discorso programmatico con passione e coinvolgimento).
Ma come potevano applaudirlo se ha esordito dicendo "mi auguro di essere l'ultimo Presidente del Consiglio a chiedere la fiducia a quest'aula"?? Come potevano approvare un discorso che ha chiaramente messo in luce tutte le inadempienze di quell'aula in termini di semplificazione burocratica, creazione di posti di lavoro, valorizzazione della cultura e pace sociale??
Chi ha applicato l'applausometro come metro di giudizio sul discorso di Renzi, o ha criticato la sua postura poco formale, sta facendo un gioco pericoloso per il Paese, sta spostando l'attenzione da quello che Matteo ha detto.
Ecco, in Renzi ho fiducia. Ma mi tocca anche, come sempre in questo sgangherato Paese, continuare a sperare: che lo lascino fare.
Blog "di viaggio" di Luca Martino, dove Filosofia, Politica, Economia, Marketing, Web e SEO sono di strada.
Cerca nel blog
24 febbraio 2014
19 febbraio 2014
I nuovi domini, la vecchia SEO... e perché ci vorrebbero dei filosofi che si occupassero di standard ed Information Technology (CAPITOLO 3)
(... SEGUE)
Nei capitoli precedenti (1 e 2) abbiamo visto come l'innovazione introdotta coi nuovi domini gTLD non è che sia poi così utile.
La giungla di nomi più o meno interessanti, più o meno comprensibili, più o meno utili che si verrebbe a creare sarebbe probabilmente solo un fastidio per l'utente finale.
Ci troviamo, quindi, di fronte alla concreta possibilità che questa "giungla" non prenda mai piede. Vediamo perché.
Si è detto che, in ultima istanza, un nome di dominio del nuovo tipo potrebbe essere utile solo nel caso in cui il sito web ospitato ottenesse dei vantaggi in termini di posizionamento nei motori di ricerca. Ma, secondo la nostra analisi, questo non avverrà.
Abbiamo visto (Cap. 2) che l'utente-tipo molto probabilmente si rifiuterà di abbandonare l'attuale standard cui è abituato (le ragioni sono al Cap. 1) ed in fase di scelta dei risultati all'interno di una SERP (pagina dei risultati di un motore di ricerca) sarà portato al clic sui domini "di vecchio tipo".
Ora, per chi conosce la SEO, o almeno segue le analisi spesso presentate in questo blog, i motori di ricerca negli ultimi 3-4 anni hanno sempre cercato di introdurre "il fattore uomo" nei propri algoritmi. Il principale promotore di questa strategia è sempre stato Google, leader indiscusso di mercato, che ha usato, e usa tuttora, molte variabili nel proprio algoritmo che si basano sulla valutazione che l'utente fa di un sito (implicita nei suoi comportamenti). Dal primo clic in una SERP al +1 di Google Plus, passando per valori come Frequenza di Rimbalzo e Tempo di Permanenza sul sito, sono tutti indicatori di pertinenza o meno di un sito web rispetto ad una query di ricerca.
Se quindi Google dà tale importanza ai comportamenti degli utenti, è molto probabile che la scelta del nostro vecchio Plinio (vedi Capitolo 2, punto A.4.3) influenzerà negativamente il posizionamento dei nuovi domini.
E venendo a mancare l'unica vera ragione per cui un proprietario di un sito web potrebbe volere un nuovo naming, ecco che tutta questa storia dei gTLD si sgonfia e collassa su se stessa.
Tuttavia, prima che il mercato si accorga di quello che "la vecchia SEO" ci ha svelato in pochi logici passaggi, ci sarà comunque la corsa all'acquisto. Faccio quindi appello ai SEO Specialist, affinché non alimentino false speranze circa mirabolanti fattori di posizionamento!
In chiusura vorrei toccare un argomento che, come dimostra il titolo di questi 3 capitoli-post, ho avuto in mente fin dall'inizio. Ed il tema è: chi decide per noi e perché?
La vicenda della liberalizzazione dei suffissi di dominio, sebbene gestita da un ente (l'ICANN) che almeno sulla carta è no-profit, ha mostrato come scelte di carattere PLANETARIO, che incidono più o meno significativamente sulla vita delle persone, non contemplino la valutazione delle loro esigenze.
Il Web è il luogo più popolato del pianeta; entro il 2015 si prevede che almeno la metà della popolazione mondiale, stimata in 7.3 miliardi di persone, sarà connessa a Internet. Le decisioni che riguardano un luogo tanto vasto e tanto popolato non possono essere prese con leggerezza, non possono essere nelle mani degli stati, delle multinazionali, delle lobbies, delle associazioni, dei consorzi, e nemmeno lasciate all'arbitrio dei molti uomini di buona volontà che pure esistono e fanno la loro parte per rendere la rete un luogo/non-luogo migliore.
Ci vogliono nuovi professionisti, nuovi pensatori che ci aiutino a pensare come dev'essere quella terra promessa dove si incontreranno e convivranno più di 3 miliardi e mezzo di persone.
Gli stati dove viviamo li hanno costruiti, più che le guerre, le pacificazioni, le annessioni, le cessioni, le immigrazioni o i cataclismi naturali, i pensatori. I filosofi.
Nella società della velocità siamo abituati al tutto e subito, per cui non abbiamo "le competenze" per esercitare l'antica arte del pensiero lento. Ci manca il know-how per fermarci e riflettere su come deve essere qualcosa. Per mille ragioni, tendiamo a realizzarla mentre la pensiamo, con inevitabili errori e ulteriore dispendio di energie per la fase di correzione. Questo nel Web è la normalità (chi ha fatto project management in tale ambito sa di cosa parlo).
Ma quando si tratta di definire degli standard, quando ci sono scelte che riguardano miliardi di persone, varrebbe la pena di pensarci un po' su. Ci vorrebbero, forse, proprio dei filosofi a proporre le innovazioni, non solo per i nomi di dominio, ma per gli algoritmi dei motori di ricerca, per le problematiche relative alla proprietà intellettuale, per la raccolta/gestione/proprietà dei dati, per la privacy, per i monopoli dei grandi gruppi .com, per le regole di gestione e auto-gestione del Web.
Non degli ingegneri, non dei marketer, non dei manager, ma dei filosofi dell'Information Technology.
(FINE)
Nei capitoli precedenti (1 e 2) abbiamo visto come l'innovazione introdotta coi nuovi domini gTLD non è che sia poi così utile.
La giungla di nomi più o meno interessanti, più o meno comprensibili, più o meno utili che si verrebbe a creare sarebbe probabilmente solo un fastidio per l'utente finale.
Ci troviamo, quindi, di fronte alla concreta possibilità che questa "giungla" non prenda mai piede. Vediamo perché.
Si è detto che, in ultima istanza, un nome di dominio del nuovo tipo potrebbe essere utile solo nel caso in cui il sito web ospitato ottenesse dei vantaggi in termini di posizionamento nei motori di ricerca. Ma, secondo la nostra analisi, questo non avverrà.
Abbiamo visto (Cap. 2) che l'utente-tipo molto probabilmente si rifiuterà di abbandonare l'attuale standard cui è abituato (le ragioni sono al Cap. 1) ed in fase di scelta dei risultati all'interno di una SERP (pagina dei risultati di un motore di ricerca) sarà portato al clic sui domini "di vecchio tipo".
Ora, per chi conosce la SEO, o almeno segue le analisi spesso presentate in questo blog, i motori di ricerca negli ultimi 3-4 anni hanno sempre cercato di introdurre "il fattore uomo" nei propri algoritmi. Il principale promotore di questa strategia è sempre stato Google, leader indiscusso di mercato, che ha usato, e usa tuttora, molte variabili nel proprio algoritmo che si basano sulla valutazione che l'utente fa di un sito (implicita nei suoi comportamenti). Dal primo clic in una SERP al +1 di Google Plus, passando per valori come Frequenza di Rimbalzo e Tempo di Permanenza sul sito, sono tutti indicatori di pertinenza o meno di un sito web rispetto ad una query di ricerca.
Se quindi Google dà tale importanza ai comportamenti degli utenti, è molto probabile che la scelta del nostro vecchio Plinio (vedi Capitolo 2, punto A.4.3) influenzerà negativamente il posizionamento dei nuovi domini.
E venendo a mancare l'unica vera ragione per cui un proprietario di un sito web potrebbe volere un nuovo naming, ecco che tutta questa storia dei gTLD si sgonfia e collassa su se stessa.
Tuttavia, prima che il mercato si accorga di quello che "la vecchia SEO" ci ha svelato in pochi logici passaggi, ci sarà comunque la corsa all'acquisto. Faccio quindi appello ai SEO Specialist, affinché non alimentino false speranze circa mirabolanti fattori di posizionamento!
In chiusura vorrei toccare un argomento che, come dimostra il titolo di questi 3 capitoli-post, ho avuto in mente fin dall'inizio. Ed il tema è: chi decide per noi e perché?
La vicenda della liberalizzazione dei suffissi di dominio, sebbene gestita da un ente (l'ICANN) che almeno sulla carta è no-profit, ha mostrato come scelte di carattere PLANETARIO, che incidono più o meno significativamente sulla vita delle persone, non contemplino la valutazione delle loro esigenze.
Il Web è il luogo più popolato del pianeta; entro il 2015 si prevede che almeno la metà della popolazione mondiale, stimata in 7.3 miliardi di persone, sarà connessa a Internet. Le decisioni che riguardano un luogo tanto vasto e tanto popolato non possono essere prese con leggerezza, non possono essere nelle mani degli stati, delle multinazionali, delle lobbies, delle associazioni, dei consorzi, e nemmeno lasciate all'arbitrio dei molti uomini di buona volontà che pure esistono e fanno la loro parte per rendere la rete un luogo/non-luogo migliore.

Gli stati dove viviamo li hanno costruiti, più che le guerre, le pacificazioni, le annessioni, le cessioni, le immigrazioni o i cataclismi naturali, i pensatori. I filosofi.
Nella società della velocità siamo abituati al tutto e subito, per cui non abbiamo "le competenze" per esercitare l'antica arte del pensiero lento. Ci manca il know-how per fermarci e riflettere su come deve essere qualcosa. Per mille ragioni, tendiamo a realizzarla mentre la pensiamo, con inevitabili errori e ulteriore dispendio di energie per la fase di correzione. Questo nel Web è la normalità (chi ha fatto project management in tale ambito sa di cosa parlo).
Ma quando si tratta di definire degli standard, quando ci sono scelte che riguardano miliardi di persone, varrebbe la pena di pensarci un po' su. Ci vorrebbero, forse, proprio dei filosofi a proporre le innovazioni, non solo per i nomi di dominio, ma per gli algoritmi dei motori di ricerca, per le problematiche relative alla proprietà intellettuale, per la raccolta/gestione/proprietà dei dati, per la privacy, per i monopoli dei grandi gruppi .com, per le regole di gestione e auto-gestione del Web.
Non degli ingegneri, non dei marketer, non dei manager, ma dei filosofi dell'Information Technology.
(FINE)
13 febbraio 2014
I nuovi domini, la vecchia SEO... e perché ci vorrebbero dei filosofi che si occupassero di standard ed Information Technology (CAPITOLO 2)
(... SEGUE)
Nel post precedente sui nuovi domini gTLD, ho esposto delle tesi solo apparentemente astratte, che in realtà nascondono riflessioni tutt'altro che banali.
In particolare, riflettevo sul perché il cambio di "standard" (o più precisamente l'ampliamento delle possibilità nei naming di dominio) non abbia ragioni sufficienti per essere introdotto, se si fa un balance costi/benefici dell'operazione. In particolare:
A - I nuovi domini non servono all'utente web "medio" (ovvero la stragrande maggioranza degli internauti)
Ponetevi nei panni di un signore di mezza età, che chiameremo Plinio, il quale deve fare un viaggio di piacere a Roma e vuole prenotare un hotel in centro città, tramite Web. Ha, schematizzando al massimo, quattro possibilità:
Resta il punto 4 nel quale, ahinoi, il dominio un qualche ruolo nella scelta ce l'ha.
Procedendo sempre con una semplificazione, vediamo dove potrebbe essere importante il dominio nella scelta di Plinio, qualora decidesse di cercare un hotel su Google:
E se dovesse scegliere fra siti diversi, non sarebbe addirittura stancante visivamente destreggiarsi fra fantasiosi risultati? Tipo:
Davvero credete che importi qualcosa all'utente scegliere tra colosseo.hotels e colosseo.hotel??
B - I nuovi domini hanno una qualche utilità, minima, per chi deve registrare un nuovo sito
Poniamo che il proprietario dell'Hotel Domus Aurea a Roma, un certo Nerone, decida con un bel po' di ritardo rispetto ai suoi competitor di farsi fare un sito web per acquisire visibilità e nuovi clienti.
Fra le primissime decisioni che deve prendere, Nerone deve scegliere il dominio che ospiterà il suo sito.
Propone hoteldomusaurea.it, ma la Web Agency gli dice che è occupato. Chiede domusaureahotel.it o hotel-domusaurea.it, ma anche questi sono andati. Prova con hotel-domus-aurea.it, hoteldomusaurea.eu, ma anche questi sono registrati.
Ora, al di là del fatto che è un caso assurdo (infatti nell'esempio di cui sopra solo hoteldomusaurea.it è realmente registrato), in questa specifica situazione al nostro Nerone potrebbe convenire giocare con una qualche combinazione di nuovi domini .hotel, .hotels o magari .rome (se e quando sarà rilasciato). Ammesso però di trovarli liberi...
E qui veniamo alla terza tesi che è in realtà un'evidenza.
C - I nuovi domini portano vantaggi veri solo ai fornitori dei servizi di registrazione
Come si può intuire da uno scenario come quello che si va profilando nel campo dei nuovi domini, è molto probabile che si scatenerà una corsa alle registrazioni di naming fra i più fantasiosi, un po' come è già successo agli albori del Web, quando il dominio era tutto e la SEO non esisteva.
I fornitori dei servizi di registrazione dei nuovi domini (che chiedono, per le nuove desinenze, da 2 a 6 volte il prezzo medio dei normali domini nazionali) saranno quindi i veri beneficiari dalla liberalizzazione introdotta dall'ICANN.
Anche in epoca più recente, infatti, la corsa alla registrazione di domini non si è mai arrestata, un po' per ignoranza, un po' per ragioni di marketing, un po' perché il dominio gioca ancora un ruolo (seppure minimo) nei fattori di posizionamento dei principali motori di ricerca.
E qui si apre un nuovo scenario, collegato ai precedenti aspetti A.4.1 e A.4.2, nonché alla chiusa del CAPITOLO 1. E alla necessità che nell'IT ci inizi a lavorare qualche filosofo bravo.
(CONTINUA ...)
Nel post precedente sui nuovi domini gTLD, ho esposto delle tesi solo apparentemente astratte, che in realtà nascondono riflessioni tutt'altro che banali.
In particolare, riflettevo sul perché il cambio di "standard" (o più precisamente l'ampliamento delle possibilità nei naming di dominio) non abbia ragioni sufficienti per essere introdotto, se si fa un balance costi/benefici dell'operazione. In particolare:
A - I nuovi domini non servono all'utente web "medio" (ovvero la stragrande maggioranza degli internauti)
Ponetevi nei panni di un signore di mezza età, che chiameremo Plinio, il quale deve fare un viaggio di piacere a Roma e vuole prenotare un hotel in centro città, tramite Web. Ha, schematizzando al massimo, quattro possibilità:
- chiede ad amici se gli consigliano un hotel e gli mandano il link del sito web;
- si cerca da solo consigli sui Social Network;
- cerca informazioni su portali dedicati di tipo informativo, di booking o misto (info+booking);
- cera l'hotel tramite i motori di ricerca.
Resta il punto 4 nel quale, ahinoi, il dominio un qualche ruolo nella scelta ce l'ha.
Procedendo sempre con una semplificazione, vediamo dove potrebbe essere importante il dominio nella scelta di Plinio, qualora decidesse di cercare un hotel su Google:
- nel posizionamento organico del sito dell'hotel in base alle parole chiave digitate;
- nell'algoritmo di AdWords per l'uscita degli annunci a pagamento di Google;
- nella scelta di cliccare o meno sui risultati che appaiono in una stessa SERP di Google;
Nei punti 1 e 2 sfociamo rispettivamente nella SEO (Search Engine Optimization) e nel SEM (Search Engine Marketing). In entrambi i casi non gioca alcun ruolo la scelta di Plinio, che si troverebbe davanti risultati frutto dei complessi algoritmi di Google (e del lavoro di qualche SEO/SEM Specialist, ovviamente).
Siamo quindi arrivati al punto 3, unico vero momento in cui, per il buon vecchio Plinio, il dominio gioca un qualche ruolo (conscio o inconscio) nella scelta del sito web da visitare.
Che si tratti di risultati "organici" (centro pagina, per intendersi) o a pagamento (in altro e nella fascia destra), Google presenterebbe i risultati a Plinio con questo schema, ormai familiare a molti:
- NOME HOTEL A ROMA
- www.naming-dominio.qualcosa
- Breve descrizione dell'hotel, dei suoi servizi
o della zona della città in cui si trova.
Vi risparmio gli studi di psicologia cognitiva che spiegano come i nostri cervelli elaborino simultaneamente le informazioni visive legate ai 3 elementi, di quanto impulsiva sia la navigazione web e di quanto sia importante il copywriting di ogni singola riga per catturare l'attenzione del target. Vi dico solo che sì, in questo caso, il nome del dominio (riga 2) gioca un ruolo.
Ma...
Crediamo davvero che, a parità di altri fattori, il suffisso dei nuovi gTLD sia importante?
Il nostro Plinio avrebbe preferenze, per uno stesso sito, tra questi domini
- hoteldomusaurea.it
- domusaurea.hotel
- hoteldomusaurea.city ?
E se dovesse scegliere fra siti diversi, non sarebbe addirittura stancante visivamente destreggiarsi fra fantasiosi risultati? Tipo:
- hotelromano.booking
- hotelroma.city
- colosseo.hotels
- colosseo.hotel
Davvero credete che importi qualcosa all'utente scegliere tra colosseo.hotels e colosseo.hotel??
Sono più propenso a credere che il nostro vecchio Plinio, confuso e smarrito, cercherà con gli occhi un banale hoteldomusaurea.it, o al limite hotel-domusaurea.it.
E qui si chiude il cerchio!
Gli specialisti SEO e SEM avranno già capito, ma rimando ad un successivo capitolo la spiegazione del cuore del problema e proseguo con la dimostrazione delle altre due tesi del CAPITOLO 1.
B - I nuovi domini hanno una qualche utilità, minima, per chi deve registrare un nuovo sito
Poniamo che il proprietario dell'Hotel Domus Aurea a Roma, un certo Nerone, decida con un bel po' di ritardo rispetto ai suoi competitor di farsi fare un sito web per acquisire visibilità e nuovi clienti.
Fra le primissime decisioni che deve prendere, Nerone deve scegliere il dominio che ospiterà il suo sito.
Propone hoteldomusaurea.it, ma la Web Agency gli dice che è occupato. Chiede domusaureahotel.it o hotel-domusaurea.it, ma anche questi sono andati. Prova con hotel-domus-aurea.it, hoteldomusaurea.eu, ma anche questi sono registrati.
Ora, al di là del fatto che è un caso assurdo (infatti nell'esempio di cui sopra solo hoteldomusaurea.it è realmente registrato), in questa specifica situazione al nostro Nerone potrebbe convenire giocare con una qualche combinazione di nuovi domini .hotel, .hotels o magari .rome (se e quando sarà rilasciato). Ammesso però di trovarli liberi...
E qui veniamo alla terza tesi che è in realtà un'evidenza.
C - I nuovi domini portano vantaggi veri solo ai fornitori dei servizi di registrazione
Come si può intuire da uno scenario come quello che si va profilando nel campo dei nuovi domini, è molto probabile che si scatenerà una corsa alle registrazioni di naming fra i più fantasiosi, un po' come è già successo agli albori del Web, quando il dominio era tutto e la SEO non esisteva.
I fornitori dei servizi di registrazione dei nuovi domini (che chiedono, per le nuove desinenze, da 2 a 6 volte il prezzo medio dei normali domini nazionali) saranno quindi i veri beneficiari dalla liberalizzazione introdotta dall'ICANN.
Anche in epoca più recente, infatti, la corsa alla registrazione di domini non si è mai arrestata, un po' per ignoranza, un po' per ragioni di marketing, un po' perché il dominio gioca ancora un ruolo (seppure minimo) nei fattori di posizionamento dei principali motori di ricerca.
E qui si apre un nuovo scenario, collegato ai precedenti aspetti A.4.1 e A.4.2, nonché alla chiusa del CAPITOLO 1. E alla necessità che nell'IT ci inizi a lavorare qualche filosofo bravo.
(CONTINUA ...)
11 febbraio 2014
I nuovi domini, la vecchia SEO... e perché ci vorrebbero dei filosofi che si occupassero di standard ed Information Technology (CAPITOLO 1)
Ieri ho seguito un seminario online sul rilascio dei nuovi domini. E ne sono uscito piuttosto turbato.
La liberalizzazione dei "generic top-level domain" (per capirsi, il suffisso che trovate dopo il punto nell'indirizzo di un sito web), ha infatti dato il via ad una nuova era nelle scelte dei naming di dominio, in cui il limite della caratterizzazione geografica (.it, .de, .eu, ecc.) o del settore economico (.com, .org, .gov, .net) viene definitivamente superato. Saranno infatti registrabili domini .app, .music, .auto, .tokyo, .bio, .fun, .game, .fashion e altri migliaia di nomi per ogni esigenza.
Occupandomi ormai anche di hosting con GESTA, volevo approfondire le opportunità di questa "apertura" rispetto agli standard a cui siamo stati abituati fino ad oggi, così da poter consigliare per il meglio quanti affrontano la delicata scelta del nome di dominio per il proprio sito web.
Ebbene, dopo il webinar, ho perfino rafforzato lo scetticismo che avevo rispetto l'argomento, fin dall'avvio di questa "rivoluzione" nel 2011 da parte dell'ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers).
Vi risparmio i dettagli tecnici su come si prenoti un dominio di nuovo tipo (comunque non semplici), e vengo al nodo della questione.
Chi di voi sarebbe disposto, oggi, subito, a cambiare mano con cui scrive?
Chi di voi sarebbe disposto, oggi, subito, a cambiare sistema operativo di PC o smartphone?
Chi di voi sarebbe disposto, oggi, subito, a cambiare marca di collutorio?
Con gradi diversi di convinzione e percentuali diverse di adesione, tutti voi, alle provocatorie domande di cui sopra, vi sarete sicuramente domandati: "Ma perché mai dovrei cambiare abitudini??".
In altre parole, ci deve essere una ragione per decidere di abbandonare uno standard. E deve essere una ragione tanto più convincente quanto minore è il tempo per attuare il cambiamento e pesante lo sforzo per abbandonare la vecchia abitudine. Chiedetelo agli anglosassoni, che continuano a guidare a sinistra, mentre il mondo intero guida in senso contrario. E, volendo, avrebbero avuto centinaia d'anni per adeguarsi.
Ed è questo il punto.
Il naming di domino, con le sue regole di composizione, è uno standard, un'abitudine familiare sul come trovare "cose" nel mare del Web. E l'uomo è un animale abitudinario, vive nella sicurezza degli standard. Windows è uno standard, Android è uno standard, la tastiera QWERTY con cui scrivo è uno standard (pessimo standard, tra l'altro, che ha curiose ragioni storiche per la sua affermazione).
Una cosa può anche essere scomoda da usare, ma devi avere ragioni sufficientemente forti per decidere di cambiare. Io ho decine di amici grafici che in 10 anni di professione hanno provato a convincermi che i Mac della Apple siano migliori dei PC equipaggiati da software Microsoft. Ed io potrei anche credergli (anzi, gli credo, senza condizionale). Ma perché dovrei cambiare?? Il disagio di dover riavviare una volta al mese il mio PC che si impalla (anche meno, ora che ho Windows 8) vale una curva di apprendimento di un paio di mesi in cui lavorerò dal 30% al 70% della mia abituale velocità, nonché una spesa circa doppia al cambio dell'hardware?
La riposta è no.
E qui siamo al punto. Ci sono ragioni/esigenze sufficientemente forti per imporre a miliardi di persone un nuovo standard nel naming dei domini? E soprattutto, di chi sono le ragioni/esigenze per introdurre il cambiamento? Di chi fornisce i domini, di chi i domini li registra o di chi navigherà fra quei domini?
La mia opinione è che:
(CONTINUA...)
La liberalizzazione dei "generic top-level domain" (per capirsi, il suffisso che trovate dopo il punto nell'indirizzo di un sito web), ha infatti dato il via ad una nuova era nelle scelte dei naming di dominio, in cui il limite della caratterizzazione geografica (.it, .de, .eu, ecc.) o del settore economico (.com, .org, .gov, .net) viene definitivamente superato. Saranno infatti registrabili domini .app, .music, .auto, .tokyo, .bio, .fun, .game, .fashion e altri migliaia di nomi per ogni esigenza.
Occupandomi ormai anche di hosting con GESTA, volevo approfondire le opportunità di questa "apertura" rispetto agli standard a cui siamo stati abituati fino ad oggi, così da poter consigliare per il meglio quanti affrontano la delicata scelta del nome di dominio per il proprio sito web.
Ebbene, dopo il webinar, ho perfino rafforzato lo scetticismo che avevo rispetto l'argomento, fin dall'avvio di questa "rivoluzione" nel 2011 da parte dell'ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers).
Vi risparmio i dettagli tecnici su come si prenoti un dominio di nuovo tipo (comunque non semplici), e vengo al nodo della questione.
Chi di voi sarebbe disposto, oggi, subito, a cambiare mano con cui scrive?
Chi di voi sarebbe disposto, oggi, subito, a cambiare sistema operativo di PC o smartphone?
Chi di voi sarebbe disposto, oggi, subito, a cambiare marca di collutorio?
Con gradi diversi di convinzione e percentuali diverse di adesione, tutti voi, alle provocatorie domande di cui sopra, vi sarete sicuramente domandati: "Ma perché mai dovrei cambiare abitudini??".
In altre parole, ci deve essere una ragione per decidere di abbandonare uno standard. E deve essere una ragione tanto più convincente quanto minore è il tempo per attuare il cambiamento e pesante lo sforzo per abbandonare la vecchia abitudine. Chiedetelo agli anglosassoni, che continuano a guidare a sinistra, mentre il mondo intero guida in senso contrario. E, volendo, avrebbero avuto centinaia d'anni per adeguarsi.
Ed è questo il punto.
Il naming di domino, con le sue regole di composizione, è uno standard, un'abitudine familiare sul come trovare "cose" nel mare del Web. E l'uomo è un animale abitudinario, vive nella sicurezza degli standard. Windows è uno standard, Android è uno standard, la tastiera QWERTY con cui scrivo è uno standard (pessimo standard, tra l'altro, che ha curiose ragioni storiche per la sua affermazione).
Una cosa può anche essere scomoda da usare, ma devi avere ragioni sufficientemente forti per decidere di cambiare. Io ho decine di amici grafici che in 10 anni di professione hanno provato a convincermi che i Mac della Apple siano migliori dei PC equipaggiati da software Microsoft. Ed io potrei anche credergli (anzi, gli credo, senza condizionale). Ma perché dovrei cambiare?? Il disagio di dover riavviare una volta al mese il mio PC che si impalla (anche meno, ora che ho Windows 8) vale una curva di apprendimento di un paio di mesi in cui lavorerò dal 30% al 70% della mia abituale velocità, nonché una spesa circa doppia al cambio dell'hardware?
La riposta è no.
E qui siamo al punto. Ci sono ragioni/esigenze sufficientemente forti per imporre a miliardi di persone un nuovo standard nel naming dei domini? E soprattutto, di chi sono le ragioni/esigenze per introdurre il cambiamento? Di chi fornisce i domini, di chi i domini li registra o di chi navigherà fra quei domini?
La mia opinione è che:
- non c'è alcun vantaggio per l'utente web (anzi)
- ci sono vantaggi minimi per chi deve registrare un nuovo dominio di un nuovo sito web
- ci sono vantaggi reali solo per i provider di servizi di registrazione domini
(CONTINUA...)
30 dicembre 2013
Giving up
28 dicembre 2013
Il cambiamento, l'immobilismo e la via del giusto mezzo
Sono quasi due mesi che non scrivo sul blog. Ed il motivo è presto detto: avevo approntato un restyling del sito e volevo terminarlo prima di riprendere a scrivere.
Ma di impegno in impegno, di urgenza in urgenza, il tempo è volato e il restyling non l'ho mai ultimato.
Il grosso è fatto, ora si possono raggiungere vecchi articoli più facilmente, si può navigare fra argomenti e per immagini, c'è un link diretto nel footer a (quasi) tutti i miei profili sui social network, un link alla pagina Facebook del WWT che un giorno o l'altro mi deciderò a curare, ci sono nel menù principale i collegamenti ad altri progetti web... eppure il restyling non è completo.
Ogni volta che si decide di cambiare, si rischia di rimanere vittime del proprio desiderio di perfezione. Perfezione che ovviamente non esiste, non può esistere. Eppure si attende ad oltranza, quasi che la mera scelta di innovare abbia esaurito ogni energia da destinare alla "implementazione del cambiamento".
Ecco una conseguenza delle spinte al cambiamento: l'immobilismo. Si trova il coraggio sufficiente per lasciare il lavoro, cambiare città, ma poi ci si arresta sull'uscio, pensando che la strada che si è appena scelto di intraprendere sia troppo lunga, troppo perigliosa ed in definitiva troppo pesante per le proprie gambe.
Quindi attendevo, prima di scrivere un nuovo post; volevo che il restyling fosse ultimato o, semplicemente, temporeggiavo.
Poi mi è caduto lo sguardo su un vecchio libro che avevo letto anni fa, sul pensiero di Confucio e la Via del Giusto Mezzo.
Ed ho avuto la più semplice e sconcertante delle rivelazioni: una volta che decidi di metterti in cammino, accontentati di camminare. L'ansia dell'arrivo fa più lontana la meta e toglie piacere al viaggio.
Ma di impegno in impegno, di urgenza in urgenza, il tempo è volato e il restyling non l'ho mai ultimato.

Ecco una conseguenza delle spinte al cambiamento: l'immobilismo. Si trova il coraggio sufficiente per lasciare il lavoro, cambiare città, ma poi ci si arresta sull'uscio, pensando che la strada che si è appena scelto di intraprendere sia troppo lunga, troppo perigliosa ed in definitiva troppo pesante per le proprie gambe.
Quindi attendevo, prima di scrivere un nuovo post; volevo che il restyling fosse ultimato o, semplicemente, temporeggiavo.
Poi mi è caduto lo sguardo su un vecchio libro che avevo letto anni fa, sul pensiero di Confucio e la Via del Giusto Mezzo.
Ed ho avuto la più semplice e sconcertante delle rivelazioni: una volta che decidi di metterti in cammino, accontentati di camminare. L'ansia dell'arrivo fa più lontana la meta e toglie piacere al viaggio.
2 ottobre 2013
Curarsi col #DataMining dalla sindrome #AntiBerlusconiana e #ScetticoGoogoliana
Questa sera ho seguito il telegiornale e le squallide vicende legate al voto di fiducia in Senato. La giornata intensa di lavoro mi aveva preservato dall'apprendere notizie tanto strampalate quanto tragiche per l'Italia.
Quasi fossi un essere di un altro sistema solare, che all'improvviso si rende conto di vivere nel pianeta sbagliato, ho guardato quegli alieni che mandavano in scena una tragi-commedia di cattivo gusto e con una doppia, se non tripla, pessima regia.
Più che sentirmi indignato, per l'ennesima volta, per lo scempio che si fa della politica, mi sono sentito di non appartenere a questa nazione, a questa gente, a questo mondo. Mi sono sentito un alieno che anela il ritorno a casa, al suo pianeta, che deve essere inevitabilmente diverso da questa Italia.
Con tali cupi pensieri in mente, sono andato sul mio blog e ho fatto un semplice esperimento di Data Mining sull'attività di copywriting di questi 7 anni di web presence (per curiosità, non per deformazione professionale).
Ma non mi sono limitato a tale evidenza, da buon Data Scientist ho proseguito nell'analisi alla ricerca di significato.
Ed ho scoperto alcuni pattern ricorrenti. In entrambi i cluster (post su Berlusconi - post su Google) si riscontrano queste caratteristiche:
Ho in fine cercato di dare un'interpretazione ai pattern individuati. E la risposta è stata sconfortante: il lavoro e la politica, più che passioni, sono diventate ossessioni.
Capito il problema, mi auto-prescrivo la cura: da domani si scrive solo di #Golf.
Quasi fossi un essere di un altro sistema solare, che all'improvviso si rende conto di vivere nel pianeta sbagliato, ho guardato quegli alieni che mandavano in scena una tragi-commedia di cattivo gusto e con una doppia, se non tripla, pessima regia.
Più che sentirmi indignato, per l'ennesima volta, per lo scempio che si fa della politica, mi sono sentito di non appartenere a questa nazione, a questa gente, a questo mondo. Mi sono sentito un alieno che anela il ritorno a casa, al suo pianeta, che deve essere inevitabilmente diverso da questa Italia.

- Ho contato in quanti post avessi parlato di Berlusconi: 18 (con questo 19).
- Ho contato in quanti post comparisse il termine Google: 17 (con questo 18).
Ma non mi sono limitato a tale evidenza, da buon Data Scientist ho proseguito nell'analisi alla ricerca di significato.
Ed ho scoperto alcuni pattern ricorrenti. In entrambi i cluster (post su Berlusconi - post su Google) si riscontrano queste caratteristiche:
- è sempre presente un tono di critica (evidente nei post su Berlusconi, velato in quelli su Google);
- i due soggetti entrano nei post anche lì dove il tema centrale non è direttamente collegato a loro (10 post su 18 per Berlusconi, 11 su 17 per Google);
- in 3 post i due soggetti sono simultaneamente presenti (4 con quello attuale).
Ho in fine cercato di dare un'interpretazione ai pattern individuati. E la risposta è stata sconfortante: il lavoro e la politica, più che passioni, sono diventate ossessioni.
Capito il problema, mi auto-prescrivo la cura: da domani si scrive solo di #Golf.
27 settembre 2013
La stanchezza dei #guerrieri
A me la pubblicità corporate di Enel "#guerrieri" è subito sembrata vecchia.
Se non avessi letto un articolo di Paolo Iabichino (Il crashtag di Enel), quindi, avrei evitato la mia parte di colpevolezza nel prendere parte alla discussione. Ma stimo Iabichino come pubblicitario e raramente sono in disaccordo con le sue visioni. Provo quindi a contribuire con il mio punto di vista.
La campagna è completamente sbagliata. Ed è sbagliato pensare che una buona fotografia, un buon concept e un buon copywriting possano rendere accettabile quello che è sbagliato dalle fondamenta: toccare le leve emotive di chi davvero non ne può più.
Se anche avessero lanciato la campagna senza logo del cliente, non si sarebbe ottenuto molto più che una procrastinazione del giudizio di condanna, acuito probabilmente anche dall'attesa e le supposizioni sul brand sponsor di tale advertising.
Il problema è che prima di qualsiasi brainstorming creativo bisogna davvero sentire il polso del target. Con "davvero" intendo viverci un mese fianco a fianco, vedere cosa leggono, cosa mangiano, quante notti insonni passano quei #guerrieri.
Così, forse, il brillante copywriter o il marketing manager di turno avrebbe desistito. O avuto un'altra idea.
Sarà che la crisi che stiamo vivendo dura da troppo, troppo tempo. La più lunga che il mondo del marketing abbia mai affrontato. E quindi le pubblicità che fanno leva sui buoni sentimenti e il valore dei #guerrieri si sprecano.
Non occorre ricordare Piazza Italia con "I veri miracoli li facciamo noi" nel 2011 e l'attuale "Io faccio la mia parte", oppure Conad con "Persone oltre le cose". I brand che hanno deciso di percorrere questa strada sono tanti e da troppi anni.
Quando nel 2009 ci fu l'originale campagna "Per Fiducia" di Intesa Sanpaolo, io fui tra quelli che l'apprezzarono e la ritennero una grande operazione, non solo artistico-mecenatica, ma culturale e sociale.
Ma quando, all'inizio del 2012, scrissi un articolo su "L'italianità nella pubblicità (al tempo della crisi)", la misura era già colma. E mai avrei pensato che, col proseguire della crisi, sarebbe rimasto il vezzo, ai creativi svogliati, di percorrere sempre le stesse strade.
Chiunque abbia visto gli spot in TV di Enel si sarà domandato perché i pubblicitari non la smettono di far leva sulla dignità e il coraggio delle persone comuni. E me lo domando anche io.
Trovo quindi la pubblicità #Guerrieri di Enel estremamente vecchia. Perché dopo oltre 5 anni di crisi i pubblicitari potevano inventare qualcosa di più adatto al contesto.
Questo non significa che non esista un modo "tollerabile" ed insieme efficacie di parlare di crisi economica nella pubblicità. Ho trovato ad esempio ben fatta la campagna "Riparti con Eni" dell'estate 2012. Se non ricordo male, anche Paolo Iabichino ne ha scritto bene, ma la mia valutazione non è relativa solo alla tipologia di messaggio o alla scelta del testimonial nello spot televisivo (un simpaticissimo Rocco Papaleo). La carta vincente è stata lo sconto messo in campo da Eni (inusuale per gli standard del settore). C'era sempre fila fuori le pompe di servizio del gruppo petrolifero, nei giorni di sconto.
Una risposta concreta da chi possiede il potere economico, questo vogliono in tempo di crisi i consumatori; non basta più la promessa di valore o la costruzione di un valore percepito.
In tempo di crisi bisognerebbe che anche gli esperti di marketing dell'occidente industrializzato rispolverassero la Piramide di Maslow e si rendessero conto che bisogna ripartire dagli ultimi gradini, dai bisogni primari.
Già vista, già discussa fra addetti del settore, già obsoleta nei temi e nel suo evolversi. L'ho percepita vecchia non solo nel dispiegarsi dello storytelling sui social media, ma anche per le discussioni sull'advertising in sé che avrebbe generato.
Se non avessi letto un articolo di Paolo Iabichino (Il crashtag di Enel), quindi, avrei evitato la mia parte di colpevolezza nel prendere parte alla discussione. Ma stimo Iabichino come pubblicitario e raramente sono in disaccordo con le sue visioni. Provo quindi a contribuire con il mio punto di vista.
La campagna è completamente sbagliata. Ed è sbagliato pensare che una buona fotografia, un buon concept e un buon copywriting possano rendere accettabile quello che è sbagliato dalle fondamenta: toccare le leve emotive di chi davvero non ne può più.
Se anche avessero lanciato la campagna senza logo del cliente, non si sarebbe ottenuto molto più che una procrastinazione del giudizio di condanna, acuito probabilmente anche dall'attesa e le supposizioni sul brand sponsor di tale advertising.

Così, forse, il brillante copywriter o il marketing manager di turno avrebbe desistito. O avuto un'altra idea.
Sarà che la crisi che stiamo vivendo dura da troppo, troppo tempo. La più lunga che il mondo del marketing abbia mai affrontato. E quindi le pubblicità che fanno leva sui buoni sentimenti e il valore dei #guerrieri si sprecano.
Non occorre ricordare Piazza Italia con "I veri miracoli li facciamo noi" nel 2011 e l'attuale "Io faccio la mia parte", oppure Conad con "Persone oltre le cose". I brand che hanno deciso di percorrere questa strada sono tanti e da troppi anni.
Quando nel 2009 ci fu l'originale campagna "Per Fiducia" di Intesa Sanpaolo, io fui tra quelli che l'apprezzarono e la ritennero una grande operazione, non solo artistico-mecenatica, ma culturale e sociale.
Ma quando, all'inizio del 2012, scrissi un articolo su "L'italianità nella pubblicità (al tempo della crisi)", la misura era già colma. E mai avrei pensato che, col proseguire della crisi, sarebbe rimasto il vezzo, ai creativi svogliati, di percorrere sempre le stesse strade.
Chiunque abbia visto gli spot in TV di Enel si sarà domandato perché i pubblicitari non la smettono di far leva sulla dignità e il coraggio delle persone comuni. E me lo domando anche io.
Trovo quindi la pubblicità #Guerrieri di Enel estremamente vecchia. Perché dopo oltre 5 anni di crisi i pubblicitari potevano inventare qualcosa di più adatto al contesto.
Questo non significa che non esista un modo "tollerabile" ed insieme efficacie di parlare di crisi economica nella pubblicità. Ho trovato ad esempio ben fatta la campagna "Riparti con Eni" dell'estate 2012. Se non ricordo male, anche Paolo Iabichino ne ha scritto bene, ma la mia valutazione non è relativa solo alla tipologia di messaggio o alla scelta del testimonial nello spot televisivo (un simpaticissimo Rocco Papaleo). La carta vincente è stata lo sconto messo in campo da Eni (inusuale per gli standard del settore). C'era sempre fila fuori le pompe di servizio del gruppo petrolifero, nei giorni di sconto.
Una risposta concreta da chi possiede il potere economico, questo vogliono in tempo di crisi i consumatori; non basta più la promessa di valore o la costruzione di un valore percepito.
In tempo di crisi bisognerebbe che anche gli esperti di marketing dell'occidente industrializzato rispolverassero la Piramide di Maslow e si rendessero conto che bisogna ripartire dagli ultimi gradini, dai bisogni primari.
24 settembre 2013
Google, don't be evil... togli il Not Provided e ridacci la Long Tail
Quando nel 2011 dirigevo il reparto di Web Marketing di Archimede, mi trovai ad affrontare il temutissimo "Not Provided" che iniziava a spuntare nei report sul traffico dei siti web per i quali curavamo il posizionamento. Il fino ad allora utilissimo Google Analytics ci forniva dettagliate informazioni su quali chiavi di ricerca usavano gli utenti per accedere ai siti dei nostri clienti ed era quindi un tool fondamentale per l'analisi della Long Tail dei siti, sulla quale basavamo gran parte della strategia SEO.
Purtroppo tale importante insight, a fine 2011, venne a mancare per tutti gli utenti che usavano i servizi di Google. Il colosso di Mountain View dichiarò che intendeva proteggere la privacy degli utenti loggati in uno dei sui servizi (da Gmail a YouTube, passando poi per Google Plus).
Ma io nutrivo dei forti dubbi in merito.
In una sessione di formazione con i colleghi anticipai che Google avrebbe nascosto dietro il "Not Provided" tutte le informazioni legate alle query di ricerca inserite nel proprio motore di ricerca.
Cosa che da ieri è realtà.
E già due anni fa ne intuivo il motivo: fare soldi, ancora di più.
Già, perché se si usa AdWords, il tool di Search Engine Marketing di Google (sempre più costoso negli ultimi anni), le KeyWord di accesso al sito si posso vedere.
Se si integra la visualizzazione dei dati di AdWords in Google Analytics, è praticamente tutto come prima, perché si hanno parole chiave di accesso e dati di traffico (contenuti visualizzati, tempo di permanenza, conversioni e flussi di navigazione). E quindi ogni SEO specialist che voglia analizzare le KeyWord di accesso al sito, da oggi in poi, dovrà necessariamente attivare una campagna AdWords. Oppure usare altre contromisure (io già da 2 anni ne ho messe in piedi alcune) per recuperare le informazioni legate alla Coda Lunga, che conserva un ruolo centrale nelle strategie di posizionamento.
Non che fare soldi sia illegittimo, ma è assurdo che le dichiarazioni dei manager di Google parlino solo di tutela della privacy (mai realmente stata a rischio, anche senza protocollo https).
C'è poca trasparenza in questo modo di agire.
Non avrei mai pensato che, proprio io, estimatore di Big G da sempre, mi trovassi, in meno di un mese, a scrivere due post di critica alle politiche di Google. Ma tant'è.
Forse Google ha dimenticato quel motto che l'ha reso tanto grande e tanto amato dagli utenti: DON'T BE EVIL.
Purtroppo tale importante insight, a fine 2011, venne a mancare per tutti gli utenti che usavano i servizi di Google. Il colosso di Mountain View dichiarò che intendeva proteggere la privacy degli utenti loggati in uno dei sui servizi (da Gmail a YouTube, passando poi per Google Plus).
Ma io nutrivo dei forti dubbi in merito.
In una sessione di formazione con i colleghi anticipai che Google avrebbe nascosto dietro il "Not Provided" tutte le informazioni legate alle query di ricerca inserite nel proprio motore di ricerca.
Cosa che da ieri è realtà.
E già due anni fa ne intuivo il motivo: fare soldi, ancora di più.
Già, perché se si usa AdWords, il tool di Search Engine Marketing di Google (sempre più costoso negli ultimi anni), le KeyWord di accesso al sito si posso vedere.
Se si integra la visualizzazione dei dati di AdWords in Google Analytics, è praticamente tutto come prima, perché si hanno parole chiave di accesso e dati di traffico (contenuti visualizzati, tempo di permanenza, conversioni e flussi di navigazione). E quindi ogni SEO specialist che voglia analizzare le KeyWord di accesso al sito, da oggi in poi, dovrà necessariamente attivare una campagna AdWords. Oppure usare altre contromisure (io già da 2 anni ne ho messe in piedi alcune) per recuperare le informazioni legate alla Coda Lunga, che conserva un ruolo centrale nelle strategie di posizionamento.
Non che fare soldi sia illegittimo, ma è assurdo che le dichiarazioni dei manager di Google parlino solo di tutela della privacy (mai realmente stata a rischio, anche senza protocollo https).
C'è poca trasparenza in questo modo di agire.
Non avrei mai pensato che, proprio io, estimatore di Big G da sempre, mi trovassi, in meno di un mese, a scrivere due post di critica alle politiche di Google. Ma tant'è.
Forse Google ha dimenticato quel motto che l'ha reso tanto grande e tanto amato dagli utenti: DON'T BE EVIL.
22 settembre 2013
Lean Startup Machine in Milan
Si sta concludendo in queste ore il workshop Lean Startup Machine, per la prima volta in Italia. Avevo partecipato lo scorso aprile a Londra ed ora sono qui come mentor. Ma sempre più per imparare che per insegnare qualcosa. L'unica cosa che non mi stanco mai di dire è che il metodo Lean ti insegna "a sbagliare velocemente". L'avere successo è una conseguenza di questa importante capacità, per ogni startup.
Date un'occhiata alle landing page di validazione dei progetti, per rendervi conto della qualità delle idee in campo in questa edizione milanese:
Date un'occhiata alle landing page di validazione dei progetti, per rendervi conto della qualità delle idee in campo in questa edizione milanese:
- bit.ly/researchersinaction
- bit.ly/robotoysbuy
- l2l.it/socialtv
- bit.ly/forebill
- drperfect.launchrock.co
Iscriviti a:
Commenti (Atom)