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25 settembre 2015

La Volpe del deserto, la Volkswagen e altre storielle germaniche

I più assoceranno l'appellativo Volpe del deserto a Erwin Rommel, feldmaresciallo tedesco durante la Seconda Guerra Mondiale, a capo delle truppe germaniche in Africa.

Ma non è a Rommel che associo in questi giorni il nomignolo "Wüstenfuchs".
Lo associo invece ad Angela Merkel.
Rommel fu così soprannominato perché era scaltro, acuto, e perché muoveva la sua Panzer-Division fra le sabbie dei deserti nord africani.
La Merkel invece è una furbetta che si aggira per un deserto da lei stessa creato: il deserto dell'Unione Europea.


Raccontiamo però la storia per intero, perché può essere utile capire cosa la Germania stia facendo del "feudo Europa".

Con la vicenda Grexit i tedeschi hanno dimostrato di avere a cuore esclusivamente i propri interessi e di non essere in grado di concepire l'Europa come una confederazione di stati solidali tra loro. Ho ampiamente descritto le mie opinioni a riguardo ed ho fornito una ricostruzione storica delle motivazioni tedesche in un recente articolo (Le conseguenze economiche della pace e il fallimento dell'Europa Unita a guida neonazista).

Tuttavia il danno di immagine per "la Germania delle sanzioni e dei dictat" è stato ampio e di portata mondiale. I tedeschi hanno quindi ben pensato di sfruttare l'emergenza immigrazione per mostrarsi al mondo in una nuova veste.
Peccato che la fuga in avanti della Merkel, con l'apertura delle frontiere ai rifugiati siriani, abbia di fatto precluso la possibilità di una soluzione europea condivisa al problema del regolamento dei flussi migratori.

Scegliere di accogliere i siriani è stata una mossa dannosa per l'UE, ma astuta per la Germania.
Sono la popolazione che più di tutte necessita di aiuto a causa della guerra, e quindi agli occhi del proprio elettorato (che non necessariamente può capire quanto importante sia, per l'economia del Paese, mantenere la popolazione stabile o in leggera crescita) sono rifugiati con pieni diritti e non immigrati clandestini.
Inoltre, i siriani sono più facilmente integrabili rispetto agli immigrati di altre nazionalità: sono generalmente più ricchi, hanno un livello di scolarizzazione più elevato e possono quindi essere considerati anche una risorsa dal punto di vista professionale. Non è un caso che la Merkel, ospite recentemente al Salone dell'auto di Francoforte, abbia fatto un appello alle case automobilistiche tedesche, affinché assumano i rifugiati siriani. Appello subito e favorevolmente accolto dai costruttori.
In realtà è più probabile che siano state proprie le case automobilistiche tedesche a presentare negli ultimi anni le proprie esigenze al Governo, sottolineando l'urgenza di trovare manovalanza a basso costo.
Il tasso di crescita della Germania nel 2014 è stato - 0,18%. Ovvero la variazione media percentuale annua della popolazione è stata negativa. Il deficit di nascite e le emigrazioni non sono state compensate dai nuovi immigrati entrati nel Paese. Se si guarda agli ultimi dieci anni, dal 2004 al 2014, la Germania ha visto diminuire di oltre 1 milione e mezzo la propria popolazione.

Ecco che la scelta "di aprire le porte" ad una piccola e qualificata parte dei migranti, che in questi mesi si stanno riversando in Europa, trova una sua logica spiegazione (che non ha nulla a che vedere con lo spirito di solidarietà).

Quello che davvero infastidisce, però, non è il gesto in sé, che, fra le tante discutibili scelte di politica estera della Merkel, è forse il meno criminale. Il vero problema è che la Germania, per l'ennesima volta, non si sia curata di creare un percorso comunitario per la gestione della crisi. L'immigrazione è una sfida per tutto il Continente e necessita quindi di un approccio comunitario. Ci vogliono soluzioni capaci di creare consenso fra gli stati membri, non prese di posizione autarchiche.

C'è una relazione di causa ed effetto se all'operazione di facciata dei Tedeschi molti Stati abbiano risposto con la chiusura delle frontiere e l'innalzamento di muri.
Con la spaccatura consumatasi in questi giorni sul tema delle quote obbligatorie, forse la Merkel ha capito di aver sbagliato, ma ciò non le ha impedito di continuare a rifiutare un percorso politico vero, inclusivo di tutti gli attori coinvolti nell'emergenza che, ricordiamolo, è prima umanitaria e poi economica.

Se come Europa non abbiamo una politica finanziaria condivisa (vedi il caso Grecia), non abbiamo una politica estera comune (vedi Siria, Libia, ecc.), e nemmeno la lontana speranza di avere un approccio comunitario alla risoluzione dell'emergenza immigrazione, è perché la Merkel ha fatto un deserto attorno a sé.
L'Europa Unita è impossibile finché lasceremo la Germania libera di esercitare un potere che ha costruito sulla pelle di milioni di innocenti.

E qui veniamo ad un'altra storiella germanica.
Tempo fa mi recai ad Auschwitz, in pellegrinaggio, più che in visita. Fra le tante cose che mi rimasero impresse, ci fu edificio che ospitava una mostra di dipinti raffiguranti le industrie tedesche prosperate grazie alla guerra e all'uso dei deportati per la produzione a basso costo: Basf, Bayer, BMW, Daimler, Krupp, Siemens,Volkswagen e molte altre.
Si stima che furono oltre 8 milioni gli schiavi impiegati in più di 2500 aziende tedesche.


Il punto è questo: la potenza industriale tedesca è diventata tale barando, in tanti e diversi momenti storici. Il recentissimo scandalo della Volkswagen, che ha truccato le centraline delle proprie autovetture per aggirare le normative antinquinamento e continuare ad esportare in altre nazioni i propri prodotti, è solo l'episodio più recente di una storia costruita sulla sopraffazione, la menzogna e l'egoismo.
Cos'altro serve agli Stati membri per capire che questa Germania non può essere alla guida dell'UE?

Perfino Rommel pare che si sia ricreduto sul suo operato e abbia preso parte al tentativo, poi fallito, di uccidere Adolf Hitler. Ma sperare in una conversione della Merkel sembra cosa ben più difficile.