Cerca nel blog

14 luglio 2015

Nessun uomo è un'Isola

La vicenda del salvataggio della Grecia, tristissima per chiunque creda nell'Europa come confederazione di stati alla pari, mi ha ricordato una citazione di John Donne, riportata da Ernest Hemingway come epigrafe iniziale del suo magnifico libro "Per chi suona la campana".
È un verso bellissimo, una riflessione importante, che dà il titolo al romanzo di Hemingway e ne costituisce, in ultima analisi, la chiave interpretativa.

Non so come mai mi sia venuta in mente sentendo i telegiornali di questi giorni. Forse perché Donne parla di Europa già 400 anni fa, forse per il percorso così "crudele" che ha portato a questo salvataggio in extremis, o forse perché il romanzo di Hemingway è ambientato durante la Guerra civile spagnola ed io ho recentemente ricollegato alle grandi guerre del secolo scorso le origini di certe ostilità che si sono manifestate nella vicenda del default greco.

Fatto sta che molti politici ed economisti in Europa non hanno ancora imparato questa lezione. 
Nessun uomo è un'Isola,
intero in se stesso.
Ogni uomo è un pezzo del Continente,
una parte della Terra.
Se una Zolla viene portata via dall'onda del Mare,
l'Europa ne è diminuita,
come se un Promontorio fosse stato al suo posto,
o una Magione amica o la tua stessa Casa.
Ogni morte d'uomo mi diminuisce,
perché io partecipo all'umanità.
E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana:
Essa suona per te.

John Donne (1573-1651)


5 luglio 2015

Le conseguenze economiche della pace e il fallimento dell'Europa Unita a guida neonazista

La prima riflessione, dopo mesi di assenza da questo blog, va a quello che sta vivendo l'Europa. Partendo però dall'esperienza personale, che inevitabilmente filtra ogni fatto, ogni evento, come se fossero degli occhiali colorati sempre calati sugli occhi, che rendono tremendamente soggettiva ogni osservazione della realtà.
Questo incipit è quindi una dichiarazione di faziosità del sottoscritto. Non pretendo di avere la verità e non griderò la mia come se fosse l'unica possibile. Ma mai come oggi sento di voler dire quello che i mie occhi vedono, pur se colorato e forse falsato dagli occhiali di un liberal-comunista neo-keynesiano (ogni ossimoro e contraddizione in termini è puramente volontaria).

Da quando ho creato questo blog mai sono stato assente per tanti mesi. In questo 2015 ho scritto un solo post. Avevo idee per almeno una dozzina di articoli, riflessioni da condividere, provocazioni da lanciare. Ma mi mancava il tempo. Ogni minuto della mia precaria esistenza dell'ultimo anno l'ho dedicato a lavorare, lavorare, dalle 10 alle 16 ore al giorno, senza pause, anche nei weekend. Non per fame di ricchezza o carriera, ma per fare la mia parte. Dare qualche opportunità di formazione e crescita alle mie figlie, pagare le tasse, spingere sull'acceleratore della ripresa con gli strumenti a mia disposizione: qualche competenza e tanta buona volontà.
Tanto lavoro e tanti sacrifici, in questi giorni di discussione sul futuro della Grecia, mi hanno ricordato la prima, dominante, negativa impressione che mi fecero i greci quando visitai la loro terra.

Il ricordo che ho della Grecia, quando una decina di anni fa sono andato in vacanza lì, è di un paese completamente privo di "etica economica". Le persone vivevano baciate dal sole, dal turismo che garantiva entrate, e da un nero profondo. Nessuno sapeva cosa fosse una ricevuta, uno scontrino, una dichiarazione fiscale.
Ricordo il padrone di casa che affittò al nostro gruppo di amici 3 appartamenti della sua grande casa, acquistata con i soldi della sua generosa pensione svizzera (era emigrato in gioventù e aveva lavorato per trent'anni come portiere in un condominio). Non si poneva minimamente la domanda se fosse giusto o meno non dichiarare i soldi degli affitti che incassava (per inciso, la casa non l'avevo trovata io, che mai avrei accettato di pagare senza una ricevuta).
Una persona benestante, che non aveva bisogno di nulla, ma che si rifiutava di pagare alcunché al fisco del suo Paese. O meglio, del Paese che lo ospitava, che lo riaccoglieva, e nel quale non aveva mia pagato tasse nella sua vita lavorativa.
Come lui la quasi totalità degli esercizi economici nei quali mi sono imbattuto in quell'estate del 2005.

Ecco, questo è tutto quello che dirò di negativo della Grecia. Non aggiungerò altro. Dico solo che se penso al mio ultimo anno di lavoro, o al prototipo di italiano onesto che si sforza di pagare le tasse, di credere che la propria goccia sia fondamentale per la ripresa del proprio Paese, devo riconoscere che nel mio breve soggiorno in Grecia non ho incontrato nessuno che incarnasse nemmeno lontanamente questo profilo di cittadino.
Spero di essere stato sfortunato, o che le cose siano cambiate in questi anni. Fatto sta che questo post non parla delle colpe della Grecia. Parla della colpe dell'Europa. Ho solo voluto raccontare un aneddoto perché è giusto tener presente che lo Stato ellenico e i greci come singoli cittadini qualche colpa ce l'hanno.

Ma procediamo per gradi. Parliamo di un altro colpevole. Parliamo delle colpe della Germania.
Senza voler ricorrere a facili flashback storici, che possono troppo semplicisticamente mostrare i Tedeschi come un popolo di assassini senza scrupoli, egoisti, senza morale o senso di giustizia, mi limiterò qui a presentare un dato di fatto: sono loro i responsabili della profonda crisi economica che dal 2007 in poi l'Europa sta vivendo.
La Banca Centrale Europea, senza un mandato statutario che la autorizzasse a garantire il benessere economico nell'Eurozona (ma solo la stabilità dei prezzi), è sempre stata soggetta alla linea di rigore imposta dalla Germania (primo azionista), che ha pretesto manovre economiche recessive per gli stati indebitati, garantendosi così la sudditanza perenne degli stessi.

Gli analisti più illuminati affermano che il motivo per cui i Tedeschi tengono soggiogati i paesi con alto rapporto tra debito pubblico e PIL è quello di garantirsi un Euro sufficientemente debole per consentire le loro esportazioni. Se avessero avuto una moneta legata alla loro economia non avrebbero goduto di un ciclo economico favorevole così lungo, perché il rialzo della stessa avrebbe frenato le loro esportazioni (scrissi qualcosa al riguardo qualche anno fa, dopo un viaggio in Germania) e aiutato le esportazioni dei paesi con moneta debole.

Trovo allucinante che nessun leader europeo abbia mai gridato allo scandalo e abbia preteso di ridefinire le regole economiche comuni, per evitare che l'interesse di uno stato consista nella povertà e nell'indebitamento degli altri.
Ma non servirebbe inventare nuove regole per consentire la ripresa della Grecia, del Portogallo o dell'Italia. Basterebbe applicare quelle stesse regole che gli stati europei vincitori della II Guerra Mondiale hanno applicato alla Germania nel 1953, quando si resero conto che non sarebbe mai riuscita a ripagare le sanzioni di guerra [1].
Oltre a cancellare metà del debito, gli stati creditori si accordarono per applicare una regola che avrebbe garantito la ripresa della Repubblica Federale Tedesca, grazie ad una rapida industrializzazione. La regola "di civiltà" che sottostava a tale accordo era molto semplice: gli stati creditori dovevano importare beni da quelli con debito elevato.

Val la pena approfondire questo semplice concetto macroeconomico.
Se un paese esporta più di quello che importa, ha un'eccedenza commerciale (o surplus). Ciò produce un reddito in eccesso, che non è speso in beni importati. Tale eccesso può servire a riassorbire il proprio debito, oppure si trasforma in credito verso altri paesi, che a loro volta s’indebitano.

Ecco perché l'Europa, per aiutare la Germania a riprendersi dalle conseguenza della Seconda Guerra Mondiale (che essa stessa aveva scatenato), decise di importare beni prodotti nella Repubblica Federale Tedesca, creando così le condizioni per l'ascesa della potenza industriale che oggi tutti conosciamo.

Quello che però pochi sanno è che la Germania di oggi ha un surplus commerciale, che difende a denti stretti, pari al 5,8% del PIL (stima del Fondo Monetario Internazionale per il 2015), quando invece potrebbe importare merci dai paesi creditori, per aiutarli ad uscire dalla crisi.
Ecco, questo significa essere ingiusti, di fronte alla Grecia, di fronte all'Italia, di fronte alla Storia.

Ecco perché il titolo di questo post parla di un'Europa a guida nazista. Non per riprendere titoli sensazionalistici di politicanti in cerca dello slogan facile, ma perché non riesco a trovare un termine più appropriato che sintetizzi le ingiustizie (e le conseguenti crudeltà subite da "liberi" cittadini) che da anni mi trovo ad osservare sul piano macroeconomico.

Certo, le colpe dei padri non ricadano sui figli. Ma i figli non commettano le colpe dei padri.
Ed invece mi sembra proprio che i Tedeschi che oggi guidano l'Europa siano dello stesso tipo di quelli che hanno commesso i più efferati crimini contro l'umanità che la storia abbia finora conosciuto.
Certo, anche la Germania ha avuto le sue Rose Bianche [2], segno che in tutte le epoche e in tutti gli stati ci possono essere persone giuste che si battono per arginare la malvagità della maggioranza. Ma è alla maggioranza dei Tedeschi che ora sto pensando, a quella maggioranza che la Merkel non vuole scontentare in quanto suo elettorato di riferimento.
Non basta qualche decina di anni a cambiare una persona, figuriamoci un popolo. Ci vogliono filosofi, letterati, scuole di pensiero, movimenti, associazioni di volontariato, perfino religioni. E secoli, se non millenni.

La Germania, dal 1939 ad oggi, non ha visto grandi rivoluzioni culturali, né movimenti di rinnovamento sociale. Anzi, è stata animata da un unico sentimento: la vendetta.

E qui veniamo al vero colpevole della crisi della Grecia, della crisi dell'Italia e della recessione di tutta l'Eurozona. L'Europa stessa.

La prima colpa è senz'altro quella di non aver mantenuto lo spirito dei padri fondatori, che era di sussidiarietà fra gli stati membri. La seconda è che non ci si è dati regole adeguate per una convivenza economica pacifica, in grado di prevenire la scorrettezza di uno stato rispetto ad un altro (vedi la regola della bilancia commerciale in funzione del debito fra stati, sopra descritta).
Ma c'è una colpa più antica, un peccato originale commesso da alcuni stati, che stiamo scontando ancora oggi.
Ed è il mancato perdono della Germania dopo la Prima Guerra Mondiale, quello che ha portato alla Seconda Guerra Mondiale e che ha alimentato nel popolo tedesco il sentimento di vendetta che oggi stiamo sperimentando sulla nostra pelle.

Quando John Maynard Keynes nel 1919 partecipò alla conferenza della pace di Versailles come delegato del ministero del tesoro britannico, si battette per arrivare ad una pace molto più generosa di quella che invece si arrivò a siglare. Keynes riteneva le sanzioni imposte alla Germania così eccessive, da prevedere che sarebbero state la causa di nuovi turbamenti sul piano geopolitico. Non fu ascoltato e decise di scrivere le sue idee in un libro che ha fatto scuola e che è stato tristemente profetico: "Le conseguenze economiche della pace" [3].
Ecco, io credo che le conseguenze di quella pace le scontiamo ancora oggi, in un'Europa guidata da rapporti di forza non bilanciati e da leader miopi che non conoscono la storia o che, pur conoscendola, non sanno trarne i dovuti insegnamenti.
Tanto per fare un esempio, il mandato esclusivo affidato alla BCE, ovvero il controllo dell'inflazione, ha origine nella grande paura dei Tedeschi legata all'iperinflazione, che risale ai tempi della svalutazione del Marco durante la Repubblica di Weimar, negli anni venti del '900. L'iperinflazione era dovuta alla continua emissione di valuta per ripagare i debiti di guerra (proprio quelli che Keynes aveva messo in guardia dall'imporre).
Ecco, quel ricordo dei loro nonni o bisnonni, che andavano in giro con carriole di cartamoneta per comprare un pezzo di pane, ha indotto i Tedeschi a imporre un mandato alla Banca Centrale Europea quantomeno limitato (se non addirittura controproducente, nella stragrande maggioranza degli scenari economici).

Nell'attuale scenario economico, diseguale e disastroso, la chiave potrebbe essere il Perdono. Lo è stato nel 1953 con la cancellazione del debito della Germania, precondizione per la nascita dell'Europa. E può esserlo nuovamente oggi, con l'applicazione di nuovi principi di sussidiarietà fra gli stati.
Ciò porterebbe alla nascita di una nuova Europa Unita, un'Europa che non sia solo un'unica moneta, ma un'unità dei popoli che si riconoscono nel principio di fraternità. Secondo questo principio un tedesco non potrebbe tollerare che un greco non abbia medicine con cui curarsi, qualsiasi siano le colpe di quel greco (che, come ho scritto in apertura, sicuramente ne ha).

Non so se e come la scelta che la Grecia oggi sta prendendo potrà innescare un dibattito in tal senso, ma me lo auguro.
Così come mi auguro che l'Italia faccia la sua parte per essere portavoce di un'economia solidale, non coercitiva e più intelligente. Renzi deve capire che qui non stiamo perdendo solo 65 miliardi di euro (a tanto ammonta la stima dell'esposizione italiana nel debito greco); stiamo perdendo l'opportunità di costruire un'Europa nuova, finalmente giusta, che funzioni politicamente, che crei valore per tutti gli stati membri. L'Europa nella quale ha senso stare.




NOTE
1) "How Europe cancelled Germany’s debt in 1953" - Jubilee Debt Campaign, 26 febbraio 2015
2) "Die Weiße Rose" (Rosa Bianca), movimento nonviolento di opposizione al Nazismo, attivo fra il 1942 e il 1943
3) "The Economic Consequences of the Peace" - John Maynard Keynes, 1919