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24 febbraio 2014

La fiducia e la speranza

Oggi ho seguito con estrema attenzione tutto l'intervento di Matteo Renzi al Senato della Repubblica, per chiedere la fiducia sul proprio governo.
L'ho trovato intelligente, coraggioso e condivisibile su tutto.
Anche la citazione demagogica di alcuni episodi privati è servita a portare nell'aula quel senso di "urgenza" che pervade il Paese reale, urgenza di profondo rinnovamento, di cambio di passo nelle istituzioni, nel mondo del lavoro, nel mondo della scuola.

Oggi la speranza che da tempo avevo in Matteo Renzi è diventata fiducia. La differenza fra i due stati d'animo è, per dirla con Matteo, in una data. Quella di oggi.

Ho però trovato sconcertante il giudizio di politici e giornalisti che si sono limitati a contare gli applausi ricevuti da Renzi o a criticare il tono acceso del suo discorso ("da campagna elettorale" hanno detto, come se non si potesse fare un discorso programmatico con passione e coinvolgimento).
Ma come potevano applaudirlo se ha esordito dicendo "mi auguro di essere l'ultimo Presidente del Consiglio a chiedere la fiducia a quest'aula"?? Come potevano approvare un discorso che ha chiaramente messo in luce tutte le inadempienze di quell'aula in termini di semplificazione burocratica, creazione di posti di lavoro, valorizzazione della cultura  e pace sociale??
Chi ha applicato l'applausometro come metro di giudizio sul discorso di Renzi, o ha criticato la sua postura poco formale, sta facendo un gioco pericoloso per il Paese, sta spostando l'attenzione da quello che Matteo ha detto.

Ecco, in Renzi ho fiducia. Ma mi tocca anche, come sempre in questo sgangherato Paese, continuare a sperare: che lo lascino fare.



19 febbraio 2014

I nuovi domini, la vecchia SEO... e perché ci vorrebbero dei filosofi che si occupassero di standard ed Information Technology (CAPITOLO 3)

(... SEGUE)

Nei capitoli precedenti (1 e 2) abbiamo visto come l'innovazione introdotta coi nuovi domini gTLD non è che sia poi così utile.
La giungla di nomi più o meno interessanti, più o meno comprensibili, più o meno utili che si verrebbe a creare sarebbe probabilmente solo un fastidio per l'utente finale.

Ci troviamo, quindi, di fronte alla concreta possibilità che questa "giungla" non prenda mai piede. Vediamo perché.

Si è detto che, in ultima istanza, un nome di dominio del nuovo tipo potrebbe essere utile solo nel caso in cui il sito web ospitato ottenesse dei vantaggi in termini di posizionamento nei motori di ricerca. Ma, secondo la nostra analisi, questo non avverrà.

Abbiamo visto (Cap. 2) che l'utente-tipo molto probabilmente si rifiuterà di abbandonare l'attuale standard cui è abituato (le ragioni sono al Cap. 1) ed in fase di scelta dei risultati all'interno di una SERP (pagina dei risultati di un motore di ricerca) sarà portato al clic sui domini "di vecchio tipo".

Ora, per chi conosce la SEO, o almeno segue le analisi spesso presentate in questo blog, i motori di ricerca negli ultimi 3-4 anni hanno sempre cercato di introdurre "il fattore uomo" nei propri algoritmi. Il principale promotore di questa strategia è sempre stato Google, leader indiscusso di mercato, che ha usato, e usa tuttora, molte variabili nel proprio algoritmo che si basano sulla valutazione che l'utente fa di un sito (implicita nei suoi comportamenti). Dal primo clic in una SERP al +1 di Google Plus, passando per valori come Frequenza di Rimbalzo e Tempo di Permanenza sul sito, sono tutti indicatori di pertinenza o meno di un sito web rispetto ad una query di ricerca.

Se quindi Google dà tale importanza ai comportamenti degli utenti, è molto probabile che la scelta del nostro vecchio Plinio (vedi Capitolo 2, punto A.4.3) influenzerà negativamente il posizionamento dei nuovi domini.
E venendo a mancare l'unica vera ragione per cui un proprietario di un sito web potrebbe volere un nuovo naming, ecco che tutta questa storia dei gTLD si sgonfia e collassa su se stessa.

Tuttavia, prima che il mercato si accorga di quello che "la vecchia SEO" ci ha svelato in pochi logici passaggi, ci sarà comunque la corsa all'acquisto. Faccio quindi appello ai SEO Specialist, affinché non alimentino false speranze circa mirabolanti fattori di posizionamento!

In chiusura vorrei toccare un argomento che, come dimostra il titolo di questi 3 capitoli-post, ho avuto in mente fin dall'inizio. Ed il tema è: chi decide per noi e perché?
La vicenda della liberalizzazione dei suffissi di dominio, sebbene gestita da un ente (l'ICANN) che almeno sulla carta è no-profit, ha mostrato come scelte di carattere PLANETARIO, che incidono più o meno significativamente sulla vita delle persone, non contemplino la valutazione delle loro esigenze.

Il Web è il luogo più popolato del pianeta; entro il 2015 si prevede che almeno la metà della popolazione mondiale, stimata in 7.3 miliardi di persone, sarà connessa a Internet. Le decisioni che riguardano un luogo tanto vasto e tanto popolato non possono essere prese con leggerezza, non possono essere nelle mani degli stati, delle multinazionali, delle lobbies, delle associazioni, dei consorzi, e nemmeno lasciate all'arbitrio dei molti uomini di buona volontà che pure esistono e fanno la loro parte per rendere la rete un luogo/non-luogo migliore.

Ci vogliono nuovi professionisti, nuovi pensatori che ci aiutino a pensare come dev'essere quella terra promessa dove si incontreranno e convivranno più di 3 miliardi e mezzo di persone.
Gli stati dove viviamo li hanno costruiti, più che le guerre, le pacificazioni, le annessioni, le cessioni, le immigrazioni o i cataclismi naturali, i pensatori. I filosofi.

Nella società della velocità siamo abituati al tutto e subito, per cui non abbiamo "le competenze" per esercitare l'antica arte del pensiero lento. Ci manca il know-how per fermarci e riflettere su come deve essere qualcosa. Per mille ragioni, tendiamo a realizzarla mentre la pensiamo, con inevitabili errori e ulteriore dispendio di energie per la fase di correzione. Questo nel Web è la normalità (chi ha fatto project management in tale ambito sa di cosa parlo).

Ma quando si tratta di definire degli standard, quando ci sono scelte che riguardano miliardi di persone, varrebbe la pena di pensarci un po' su. Ci vorrebbero, forse, proprio dei filosofi a proporre le innovazioni, non solo per i nomi di dominio, ma per gli algoritmi dei motori di ricerca, per le problematiche relative alla proprietà intellettuale, per la raccolta/gestione/proprietà dei dati, per la privacy, per i monopoli dei grandi gruppi .com, per le regole di gestione e auto-gestione del Web.
Non degli ingegneri, non dei marketer, non dei manager, ma dei filosofi dell'Information Technology.

(FINE)

13 febbraio 2014

I nuovi domini, la vecchia SEO... e perché ci vorrebbero dei filosofi che si occupassero di standard ed Information Technology (CAPITOLO 2)

(... SEGUE)

Nel post precedente sui nuovi domini gTLD, ho esposto delle tesi solo apparentemente astratte, che in realtà nascondono riflessioni tutt'altro che banali.
In particolare, riflettevo sul perché il cambio di "standard" (o più precisamente l'ampliamento delle possibilità nei naming di dominio) non abbia ragioni sufficienti per essere introdotto, se si fa un balance costi/benefici dell'operazione. In particolare:

A - I nuovi domini non servono all'utente web "medio" (ovvero la stragrande maggioranza degli internauti)
Ponetevi nei panni di un signore di mezza età, che chiameremo Plinio, il quale deve fare un viaggio di piacere a Roma e vuole prenotare un hotel in centro città, tramite Web. Ha, schematizzando al massimo, quattro possibilità:
  1. chiede ad amici se gli consigliano un hotel e gli mandano il link del sito web;
  2. si cerca da solo consigli sui Social Network;
  3. cerca informazioni su portali dedicati di tipo informativo, di booking o misto (info+booking);
  4. cera l'hotel tramite i motori di ricerca.
Nei casi 1, 2 e 3 è palese che il dominio non gioca alcun ruolo nella scelta di Plinio, né nella possibilità per l'hotel di essere trovato. Che il sito web si trovi su hoteldomusaurea.itdomusaurea.hotel, oppure hoteldomusaurea.city è irrilevante. Plinio nei casi 1 e 2 prima trova un hotel, poi il dominio associato. Nel caso 3, addirittura, Plinio potrebbe non sapere mai quale sia il dominio dell'hotel, poiché vedrebbe le foto, i prezzi, la localizzazione sulla mappa e prenoterebbe direttamente dal portale di booking.
Resta il punto 4 nel quale, ahinoi, il dominio un qualche ruolo nella scelta ce l'ha.

Procedendo sempre con una semplificazione, vediamo dove potrebbe essere importante il dominio nella scelta di Plinio, qualora decidesse di cercare un hotel su Google:
  1. nel posizionamento organico del sito dell'hotel in base alle parole chiave digitate;
  2. nell'algoritmo di AdWords per l'uscita degli annunci a pagamento di Google;
  3. nella scelta di cliccare o meno sui risultati che appaiono in una stessa SERP di Google;  
Nei punti 1 e 2 sfociamo rispettivamente nella SEO (Search Engine Optimization) e nel SEM (Search Engine Marketing). In entrambi i casi non gioca alcun ruolo la scelta di Plinio, che si troverebbe davanti risultati frutto dei complessi algoritmi di Google (e del lavoro di qualche SEO/SEM Specialist, ovviamente).

Siamo quindi arrivati al punto 3, unico vero momento in cui, per il buon vecchio Plinio, il dominio gioca un qualche ruolo (conscio o inconscio) nella scelta del sito web da visitare.
Che si tratti di risultati "organici" (centro pagina, per intendersi) o a pagamento (in altro e nella fascia destra), Google presenterebbe i risultati a Plinio con questo schema, ormai familiare a molti:
  1. NOME HOTEL A ROMA
  2. www.naming-dominio.qualcosa
  3. Breve descrizione dell'hotel, dei suoi servizi
    o della zona della città in cui si trova.
Vi risparmio gli studi di psicologia cognitiva che spiegano come i nostri cervelli elaborino simultaneamente le informazioni visive legate ai 3 elementi, di quanto impulsiva sia la navigazione web e di quanto sia importante il copywriting di ogni singola riga per catturare l'attenzione del target. Vi dico solo che sì, in questo caso, il nome del dominio (riga 2) gioca un ruolo. 
Ma...

Crediamo davvero che, a parità di altri fattori, il suffisso dei nuovi gTLD sia importante?
Il nostro Plinio avrebbe preferenze, per uno stesso sito, tra questi domini

    • hoteldomusaurea.it
    • domusaurea.hotel
    • hoteldomusaurea.city ?

E se dovesse scegliere fra siti diversi, non sarebbe addirittura stancante visivamente destreggiarsi fra fantasiosi risultati? Tipo:

    • hotelromano.booking
    • hotelroma.city
    • colosseo.hotels
    • colosseo.hotel

Davvero credete che importi qualcosa all'utente scegliere tra colosseo.hotels e colosseo.hotel??
Sono più propenso a credere che il nostro vecchio Plinio, confuso e smarrito, cercherà con gli occhi un banale hoteldomusaurea.it, o al limite hotel-domusaurea.it.

E qui si chiude il cerchio!
Gli specialisti SEO e SEM avranno già capito, ma rimando ad un successivo capitolo la spiegazione del cuore del problema e proseguo con la dimostrazione delle altre due tesi del CAPITOLO 1.

B - I nuovi domini hanno una qualche utilità, minima, per chi deve registrare un nuovo sito
Poniamo che il proprietario dell'Hotel Domus Aurea a Roma, un certo Nerone, decida con un bel po' di ritardo rispetto ai suoi competitor di farsi fare un sito web per acquisire visibilità e nuovi clienti.
Fra le primissime decisioni che deve prendere, Nerone deve scegliere il dominio che ospiterà il suo sito.
Propone hoteldomusaurea.it, ma la Web Agency gli dice che è occupato. Chiede domusaureahotel.it hotel-domusaurea.it, ma anche questi sono andati. Prova con hotel-domus-aurea.ithoteldomusaurea.eu, ma anche questi sono registrati.
Ora, al di là del fatto che è un caso assurdo (infatti nell'esempio di cui sopra solo hoteldomusaurea.it è realmente registrato), in questa specifica situazione al nostro Nerone potrebbe convenire giocare con una qualche combinazione di nuovi domini .hotel, .hotels o magari .rome (se e quando sarà rilasciato). Ammesso però di trovarli liberi...
E qui veniamo alla terza tesi che è in realtà un'evidenza.

C - I nuovi domini portano vantaggi veri solo ai fornitori dei servizi di registrazione
Come si può intuire da uno scenario come quello che si va profilando nel campo dei nuovi domini, è molto probabile che si scatenerà una corsa alle registrazioni di naming fra i più fantasiosi, un po' come è già successo agli albori del Web, quando il dominio era tutto e la SEO non esisteva.
I fornitori dei servizi di registrazione dei nuovi domini (che chiedono, per le nuove desinenze, da 2 a 6 volte il prezzo medio dei normali domini nazionali) saranno quindi i veri beneficiari dalla liberalizzazione introdotta dall'ICANN.

Anche in epoca più recente, infatti, la corsa alla registrazione di domini non si è mai arrestata, un po' per ignoranza, un po' per ragioni di marketing, un po' perché il dominio gioca ancora un ruolo (seppure minimo) nei fattori di posizionamento dei principali motori di ricerca.
E qui si apre un nuovo scenario, collegato ai precedenti aspetti A.4.1 e A.4.2, nonché alla chiusa del CAPITOLO 1. E alla necessità che nell'IT ci inizi a lavorare qualche filosofo bravo.

(CONTINUA ...)

11 febbraio 2014

I nuovi domini, la vecchia SEO... e perché ci vorrebbero dei filosofi che si occupassero di standard ed Information Technology (CAPITOLO 1)

Ieri ho seguito un seminario online sul rilascio dei nuovi domini. E ne sono uscito piuttosto turbato.

La liberalizzazione dei "generic top-level domain" (per capirsi, il suffisso che trovate dopo il punto nell'indirizzo di un sito web), ha infatti dato il via ad una nuova era nelle scelte dei naming di dominio, in cui il limite della caratterizzazione geografica (.it, .de, .eu, ecc.) o del settore economico (.com, .org, .gov, .net) viene definitivamente superato. Saranno infatti registrabili domini .app, .music, .auto, .tokyo, .bio, .fun, .game, .fashion e altri migliaia di nomi per ogni esigenza.

Occupandomi ormai anche di hosting con GESTA, volevo approfondire le opportunità di questa "apertura" rispetto agli standard a cui siamo stati abituati fino ad oggi, così da poter consigliare per il meglio quanti affrontano la delicata scelta del nome di dominio per il proprio sito web.
Ebbene, dopo il webinar, ho perfino rafforzato lo scetticismo che avevo rispetto l'argomento, fin dall'avvio di questa "rivoluzione" nel 2011 da parte dell'ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers).

Vi risparmio i dettagli tecnici su come si prenoti un dominio di nuovo tipo (comunque non semplici), e vengo al nodo della questione.
Chi di voi sarebbe disposto, oggi, subito, a cambiare mano con cui scrive?
Chi di voi sarebbe disposto, oggi, subito, a cambiare sistema operativo di PC o smartphone?
Chi di voi sarebbe disposto, oggi, subito, a cambiare marca di collutorio?

Con gradi diversi di convinzione e percentuali diverse di adesione, tutti voi, alle provocatorie domande di cui sopra, vi sarete sicuramente domandati: "Ma perché mai dovrei cambiare abitudini??".
In altre parole, ci deve essere una ragione per decidere di abbandonare uno standard. E deve essere una ragione tanto più convincente quanto minore è il tempo per attuare il cambiamento e pesante lo sforzo per abbandonare la vecchia abitudine. Chiedetelo agli anglosassoni, che continuano a guidare a sinistra, mentre il mondo intero guida in senso contrario. E, volendo, avrebbero avuto centinaia d'anni per adeguarsi.
Ed è questo il punto.

Il naming di domino, con le sue regole di composizione, è uno standard, un'abitudine familiare sul come trovare "cose" nel mare del Web. E l'uomo è un animale abitudinario, vive nella sicurezza degli standard. Windows è uno standard, Android è uno standard, la tastiera QWERTY con cui scrivo è uno standard (pessimo standard, tra l'altro, che ha curiose ragioni storiche per la sua affermazione).
Una cosa può anche essere scomoda da usare, ma devi avere ragioni sufficientemente forti per decidere di cambiare. Io ho decine di amici grafici che in 10 anni di professione hanno provato a convincermi che i Mac della Apple siano migliori dei PC equipaggiati da software Microsoft. Ed io potrei anche credergli (anzi, gli credo, senza condizionale). Ma perché dovrei cambiare?? Il disagio di dover riavviare una volta al mese il mio PC che si impalla (anche meno, ora che ho Windows 8) vale una curva di apprendimento di un paio di mesi in cui lavorerò dal 30% al 70% della mia abituale velocità, nonché una spesa circa doppia al cambio dell'hardware?
La riposta è no.

E qui siamo al punto. Ci sono ragioni/esigenze sufficientemente forti per imporre a miliardi di persone un nuovo standard nel naming dei domini? E soprattutto, di chi sono le ragioni/esigenze per introdurre il cambiamento? Di chi fornisce i domini, di chi i domini li registra o di chi navigherà fra quei domini?

La mia opinione è che:
  1. non c'è alcun vantaggio per l'utente web (anzi)
  2. ci sono vantaggi minimi per chi deve registrare un nuovo dominio di un nuovo sito web
  3. ci sono vantaggi reali solo per i provider di servizi di registrazione domini 
E poi c'è una categoria di individui, nei quali mi ascrivo, che maledirà per anni questa innovazione: i SEO specialist.

(CONTINUA...)