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23 ottobre 2014

Leopolda 5. E il Partito che diventa MOVIMENTO. Ma che ancora usa il contante.

Da domani fino a domenica sarò alla Stazione Leopolda di Firenze.
Il 24, 25 e 26 ottobre 2014 ci sarà infatti la quinta edizione di quell'incontro progettuale ed informale che sa di movimento più che di partito e che è stato la premessa del fenomeno #Renzi (il cancelletto è intenzionale).
Sarò alla #Leopolda non per senso di appartenenza, ma per senso di responsabilità.
Non ho più la tessera di partito, da quando il "mio" Partito preferì un decrepito Bersani ad un credibile Matteo Renzi. Ma mi è rimasto, oltre al senso critico, un senso di responsabilità che impone un impegno propositivo, progettuale, per far sì che la politica vada oltre la rappresentanza e incontri il concetto di partecipazione estesa.
Per questa ragione prenderò parte ai lavori della Leopolda. Perché credo che la forma di partito vada superata. Ma anche perché non ho fiducia nella forma di #movimento ("5 Stelle" docet). Voglio davvero capire qual è, se c'è, la soluzione, fra delega assoluta e partecipazione vincolante.

Al solo scopo di portare un esempio, vorrei capire chi e con quali criteri ha escluso la mia proposta di intervento ai tavoli di discussione che si succederanno nel weekend. Nel mio Partito avrei avuto la certezza di una votazione sul tema. Ma per Leopolda5 è così? È stato così nel mio caso? Non lo so e non lo sapremo mai. Ecco, un movimento è così. Potente, efficiente, ma poco trasparente.

Con l'ambizione di rendere i concetti più efficaci di quello che sono in fase di formulazione, riporto di seguito i contenuti della mia proposta di discussione (bocciata) per i meeting della Leopolda. Chissà che nella Leopolda6 non tornino in voga... in fondo "il Futuro è solo l'inizio"! 

«Non riesco ad immaginare un futuro dove esistano simultaneamente due economie. Un'economia sana, trasparente, che sostiene il sistema-paese con le tasse e un'economia nascosta, di cui l'evasione fiscale è solo un aspetto.
E non riesco ad immaginare un altro sistema per risolvere questo problema che l'eliminazione totale del contante.
Lo Stato deve garantire zero costi di transazione e fornitura dei terminali per il trasferimento di somme di denaro non solo a chi gestisce una attività economica, ma ad ogni singolo cittadino. Con gli smartphone è già possibile; si dovrà solo pensare alla distribuzione di dispositivi semplificati per la Terza Età.
Contestualmente si potranno, anzi, dovranno, eliminare completamente le procedure di richiesta sussidi, dichiarazione dei redditi, procedure per detrazioni-deduzioni, ICE, ISE, ISEE, e mille altre sigle che servono solo a far guadagnare i CAF dei sindacati.
Un paese che ha bisogno dei CAF e dei commercialisti non è un paese civile. E il nostro Paese si fonda sulla burocratizzazione dei processi, anche quelli che avrebbe tutto l'interesse a semplificare.
Nel futuro che immagino non si può aver bisogno di assistenza per pagare le tasse.
Ad ogni cittadino dovrà corrispondere un account in un sistema centralizzato che terrà conto del suo stato di famiglia, di quanto guadagna, di quanto spende, di che diritti e doveri ha nei confronti dell'Erario.
Senza il contante e la conseguente tracciabilità di ogni transazione, il Sistema sarà in grado di semplificare moltissimo la vita di ogni cittadino.
Solo così si potrà arrivare ad una completa valorizzazione dell'economia reale e trasparente. L'eliminazione del contante è solo l'inizio.»

27 agosto 2014

L'estate senza Viaggio

Questa estate la ricorderò non per l'accogliente paesino pugliese dove l'ho trascorsa, né per l'ottimo cibo degustato. Non la ricorderò per il mare, per i paesaggi e, strano a dirsi nel mio caso, nemmeno per le lunghissime letture in spiaggia, che mi hanno consentito di finire cinque bellissimi libri.

La ricorderò perché è stata un estate senza viaggio.
Non mi riferisco ovviamente "agli spostamenti", quelli, purtroppo, ci sono stati, nel traffico delle autostrade italiane, da nord a sud e da sud a nord, da ovest ad est e da est ad ovest, nel caldo delle ore "più furbe" per evitare i disagi degli esodi estivi (insieme a milioni di altri furbi come te). No, quelli sono meri spostamenti, trasferimenti di persone e cose da un posto ad un altro.
Mi riferisco al Viaggio vero, quello con la V maiuscola, quello fatto nel 2012 attraverso il Nord Europa, o a Vaduz nel 2010, quello del 2007 attraverso gli Stati Uniti o il Cammino di Santiago in bicicletta del 2004, per non parlare delle route a piedi con gli Scout. Insomma, il Viaggio che è la ragione per cui esiste questo blog.

Qualcuno potrà domandarsi perché proprio in questa Estate 2014 (che non è stata certo la prima e non sarà, purtroppo, l'ultima senza Viaggi) mi viene in mente che non ho fatto un Viaggio. Beh, semplicemente perché in questa estate due miei carissimi amici hanno intrapreso due Viaggi importanti (uno il Cammino di Santiago a piedi, l'altro la Traversata delle Alpi in bicicletta) e me ne hanno raccontato vicessitudini ed emozioni. Da ciò la nostalgia del Viaggio vero, del Viaggio che ti cambia.

In particolare la riflessione sull'estate senza Viaggio l'ho maturata in seguito alla lettura di un'e-mail dell'amico trentino che sta attraversando le Alpi in bici da est ad ovest. Giorno per giorno, infatti, trova il tempo di aggiornare via e-mail amici e parenti sul procedere dell'avventura, raccontando ogni tappa con umorismo, sagacia e un pizzico di filosofia.
Questa sua riflessione mi ha fatto sentire davvero la mancanza del "Vero Viaggio di Scoperta" di proustiana memoria, quello non scordi mai, quello che val sempre la pena di fare.
Riporto quindi i suoi pensieri su questo blog, perché li condivido in pieno e perché credo che siano perfettamente in linea con lo spirito che nel corso dei miei Viaggi/Post ho cercato di comunicare.

«[...] Lo so, mancano ancora due tappe, ma la mia non è fretta di concludere l'esperienza. Semplicemente oggi è stata una tappa povera di sorprese, seppure superlativa, e poi sono dell'umore giusto per tirare qualche conclusione o, almeno, per fare qualche riflessione sul viaggio che ahimè (ecco l'ho detto) sta per finire.

Viaggiare non è solo una cosa meravigliosa, come lo zucchero filato o i film in 3D con i tuoi amici a casa. Viaggiare è materia di studio dell'antropologia, è uno stato mentale, è una ragione di vita per molti, comunque è un fenomeno degno di attenzione da parte di praticanti e scienziati. Il punto è che viaggiare, anzitutto, fracassa il micro/macromondo che ti sei costruito con la tua vita privata in città/campagna. Il viaggio annulla le differenze sociali (entro certi limiti) e pone soggetti di status sociale molto diversi allo steso livello. Qualcosa di simile accade nello sport, ma sostanzialmente nello sport il meccanismo di attribuzione di valore all'individuo non è più di tipo socio-economico bensì di prestazione sportiva. Nel viaggio - fatta eccezione per il fatto che più è lungo e avventuroso un viaggio, più è probabile che sia invidiato - questo sistema viene cancellato. Un viaggiatore è come un altro, un esploratore delle meraviglie del mondo che non ha reddito, non ha professione, non ha meriti sportivi o rilievo politico. Un viaggiatore è esclusivamente un cittadino del mondo, niente di più, ma soprattutto niente di meno. È per questo che il viaggio, per le sue caratteristiche intrinseche, pone l'individuo in uno stato mentale che si traduce direttamente in una maggiore apertura verso gli altri, in altruismo, senso di comunità (con gli altri viaggiatori). Attenzione però, il viaggio non è andare vacanza. Viaggiare comporta dei rischi, degli imprevisti, forti flessioni delle proprie abitudini, accettazione delle regole altrui (cosa che spesso mi riesce difficile). Viaggiare significa spostarsi da un posto a un altro, indipendentemente dalle modalità, dalla frequenza, dal mezzo ecc. Nel viaggio, lo spostamento è il fine. Nella vacanza, lo spostamento è il mezzo.

Perché dico tutto questo? Non lo so, forse semplicemente perché troppe poche volte nella vita ho viaggiato veramente. [...] Anzitutto un viaggio non può durare poco. Nel viaggio che dura poco, che è una vacanza e non un viaggio, non esiste il tempo perché avvenga quel cambiamento dentro di noi che ci fa entrare nella "modalità viaggio".

Ci sono delle persone fra quelle che leggono che hanno viaggiato meno di me, altre di più, ma questo è un messaggio per le persone che lo hanno fatto poco. Il messaggio che voglio passare è questo: non importa se siete ricchi o poveri, sposati o single, occupati o annoiati. Prendetevi, almeno un paio di volte nella vita, il tempo di fare un viaggio vero. Non è detto che vi cambierà la vita, con me non lo ha mai fatto. Ma vi regalerà qualcosa per cui la vita la valorizzerete come non è possibile fare in altri modi. Potrete viaggiare con la vostra famiglia, da soli, in bici, in vespa, a piedi, in camper o in auto con una tenda. Anche passando di albergo in albergo, non importa. Non lasciate passare la vita pensando che non è il momento, che siete vecchi o siete limitati dalla famiglia o dal lavoro. La vita va vissuta e tra i mille modi di farlo, uno dei migliori è fare un viaggio, quello che volete voi o, meglio ancora, quello che avete sempre sognato. Viaggiare costa fatica. Costa fatica organizzare, spendere, mettere d'accordo, rinunciare ad altre cose. Ma vale la pena, perché i miei dischi posso venderli, le casse si rompono, le bici le rurbano, le auto si svalutano. Ma quando pensi a quel viaggio che hai fatto, quando lo racconti, e meglio ancora quando lo vivi, le cose materiali perdono di valore, perché sono tue ma non lo sono veramente.»


Il Viaggio, invece, è tuo per sempre.


13 agosto 2014

La società dell’incertezza

Non so perché in questi giorni mi è tornata alla mente una riflessione letta tempo fa sul blog di un amico. La ripropongo qui, oggi, perché la sento vera più che mai, perché guardandomi attorno vedo troppa infelicità, perché non ho fiducia nella capacità di rinascita dalle ceneri di uno Stato corrotto come il nostro.

Per troppe persone il presente è il posto peggiore dove passare la propria vita. Ed il futuro non promette niente di buono.
Questo stato di cose, purtroppo, non è passeggero e assume sempre più il carattere di una condizione permanente e immutabile.
Non basta l'ottimismo di Renzi a cambiare la situazione e a dare speranza, lì dove manca e la sicurezza, e la libertà.

«Se la noia e la monotonia pervadono le giornate di coloro che inseguono la sicurezza, l’insonnia e gli incubi infestano le notti di chi persegue la libertà. In entrambi i casi, la felicità va perduta.» 

Zygmunt Bauman (da "La società dell’incertezza", 1999)

26 maggio 2014

#RenziAvevaRagione

Il treno che mi porta a Firenze passa per Pontassieve... e un sorriso mi affiora sulle labbra. Prendo il tablet e torno a scrivere di politica sul mio blog. Era un po' che non lo facevo, ma questa mattina è importante che chi "sapeva" lo dica chiaramente, lo ribadisca, lo ricordi se qualcuno l'ha dimenticato.

Lo straordinario successo del Partito Democratico alle Elezioni Europee è frutto di una scelta coraggiosa di Matteo Renzi che molti hanno criticato.
Quando Matteo decise di forzare la mano e prendere il posto di Enrico Letta aveva in mente questa tornata elettorale. Sapeva che se non avesse spinto sull'acceleratore ci saremmo trovati con un Governo Letta in carica incapace di fare una campagna elettorale efficace, Grillo avrebbe stravinto, e lui si sarebbe trovato, ancora una volta, ad inseguire i partiti populisti sul campo delle recriminazioni (il PD non ha fatto, la crisi è colpa del governo, ecc.).
Alle prossime politiche Renzi avrebbe dovuto pagare il dazio di essere segretario di un partito minore, sconfitto alle Europee.

Lui ha avuto il coraggio di rischiare e ora siamo qui a scoprirci parte di un'Italia che mostra più cervello e cuore di quanto anche i più ottimisti speravano. Ecco, volevo solo ricordare a quanti dubitavano delle scelte strategiche di Matteo Renzi ai tempi dello strappo con Letta, che lui aveva ragione. Ed io l'ho sempre saputo e sostenuto.

20 aprile 2014

Èxodos

Ultimo giorno in terra lombarda, da domani la nuova tappa del Whole World Trip sarà Firenze. Una nuova avventura lavorativa (nel Gruppo En-Eco), una nuova città, un nuovo contesto dove crescere e mettersi in gioco.

Riflettevo, in questi giorni, sul fatto che il nostro nuovo trasferimento/trasloco coincidesse con la celebrazione della Pasqua cristiana.
Le analogie tra la Pasqua cristiana e quella ebraica sono molte: per gli ebrei nel libro dell'Esodo è descritto il passaggio del loro popolo dalla schiavitù alla libertà, per i cristiani il significato di "liberazione" si sposta sul piano metafisico del passaggio a vita nuova, così come Gesù passò dalla morte alla resurrezione.

Lasciare Milano per Firenze è sicuramente qualcosa di molto meno importante di una riflessione escatologica, se vogliamo qualcosa di normale in un'epoca fluida dove i luoghi sono solo una caratteristica nemmeno troppo determinante delle opportunità. Ma nei momenti di passaggio fermarsi a riflettere sul perché e sul come è utile, oltre che bello. Dona un senso, crea una dimensione in cui si è attori attivi, non spettatori.

Su questo piano ho provato ad attribuire significato al nuovo cambiamento. Lo spunto di partenza è stata proprio una riflessione sulla parola ESODO. Non nell'accezione cristiana e nemmeno ebraica del termine, ma in un significato riconducibile alla cultura della Grecia antica, ed in particolare alla tragedia greca.

La tragedia greca era strutturata secondo uno schema ricorrente, di cui si possono definire le forme con precisione. Iniziava in genere con un prologo (prò-logos), che aveva la funzione di introdurre il dramma; seguiva la parodo, che consisteva nell'entrata in scena del coro attraverso dei corridoi laterali (le pàrodoi); l'azione scenica vera e propria si dispiegava quindi attraverso tre o più episodi (epeisòdia), intervallati dagli stasimi, degli intermezzi in cui il coro commentava la situazione che si sviluppava sulla scena. Infine la rappresentazione si concludeva con l'esodo (èxodos). Nell'esodo tutte le situazioni intricate in cui i vari personaggi si erano cacciati trovavano finalmente una conclusione, una soluzione.

Ed è su questo significato che mi sono soffermato. Come se davvero questo èxodos fosse di più di un semplice passaggio da una città ad un'altra. Ma quasi un bel finale di una bella storia, professionale e umana.


6 aprile 2014

Fuori Registro

Titolo del libro

"Fuori registro"


Quarta di copertina

[Dalla prefazione di Luca Martino]  «No, Fuori Registro non è un libro di Starnone sulla malconcia scuola italiana, non è una rock band di fine anni novanta, né il prossimo album di Fabri Fibra.
È un bel libro con un brutto titolo. O con un titolo che c’entra poco con tutto il resto. Non importa, davvero. Importa solo lo stridore fra il percepito ed il sotteso, fra le emozioni di chi scrive e quelle di chi legge. Stridore che nelle immagini più forti è quasi nauseante. Ed allora dovete fare un atto di fede ed entrare nella vita che non avete avuto, o bere “un altro litro di consolazione, prima che arrivi domani”.
Già, perché se volete entrare davvero in Fuori Registro, dovete avere “in corpo il primo vino di una cantina”, come cantava Guccini, o l’ultimo cocktail in uno squallido bar di periferia. Se lo affrontate da sobri rischiate di scorgere solo arte, lì dove l’ubriaco, invece, ritrova tracce di vita vissuta.
Ma anche no. Potreste desiderare di leggere i versi di Pier Paolo Carbone alla lucida luce della vostra vita ragionevole e compassionevole. Potreste volervi sentire superiori nel comfort delle vostre camere arredate con cura, lontani dai sudici vicoli di una città degenere, che sanno di piscio e di tristezza affogata nell’alcol. Già, perché “la birra è un bene rifugio”. Refugium peccatorum. E voi non ne avete bisogno. Potreste trovare ripugnante un verso, un’immagine, una virgola. Voi non siete così.
Ma poi le difese crollerebbero ugualmente. Alla quarta, quinta frase che vi toccherà nel profondo, entrerete in crisi. E potreste sentirvi cani affamati, balene spiaggiate, palmipedi senza coscienza, pappagalli finalmente liberi. Potreste immedesimarvi così tanto nei versi sparsi da pensare che quella vita è proprio la vostra. Magari quella che non avete avuto il coraggio di scegliere.
E potreste sorprendervi, un giorno, a dare un nome ad una protuberanza ghiacciata nel vostro frigorifero. O decidere di smettere di sbrinarlo regolarmente, per vederne nascere finalmente una.»


Der Spiegel: «Il ritratto realistico di una generazione degenere, lo specchio di un'Italia che vive una crisi morale oltre che economica.»

Washington Post: «Un capolavoro! Carbone, al suo esordio letterario, sorprende per la maturità dello stile e la profondità dei contenuti.»

L'Osservatore Romano: «Se potessimo lo inseriremmo subito nell'Index Librorum Prohibitorum. Sono autori come questi che ci fanno desiderare il ritorno della Santa Inquisizione!»

La Frusta Letteraria: «Chiari ed inequivocabili i riferimenti a libri culto della letteratura americana, come Sulla strada di Jack Kerouac e Post Office di Charles Bukowski.»

Il Vernacoliere: «Alla redazione il Pippo l'è garbato da matti. Che dé, più prova della su’ bravura ‘un ci pol’esse’!»


Autore

Pier Paolo Carbone è l'ultimo dei grandi scrittori italiani ispirati dalla Beat Generation. Ed anche il primo che lo neghi apertamente. Vive di parole come solo i markettari sanno fare (uomini del marketing, si intende). Ma non disdegna di vivere di sogni, come solo i consumatori sanno fare.
"Fuori Registro" è il suo primo romanzo, tradotto in 18 lingue e accolto in maniera contrastante dalla critica di tutto il mondo. Ha recentemente dichiarato che è felice di non essere compreso; in fondo, autocitandosi, "domani potrebbe essere il giorno giusto per non farsi capire".


24 febbraio 2014

La fiducia e la speranza

Oggi ho seguito con estrema attenzione tutto l'intervento di Matteo Renzi al Senato della Repubblica, per chiedere la fiducia sul proprio governo.
L'ho trovato intelligente, coraggioso e condivisibile su tutto.
Anche la citazione demagogica di alcuni episodi privati è servita a portare nell'aula quel senso di "urgenza" che pervade il Paese reale, urgenza di profondo rinnovamento, di cambio di passo nelle istituzioni, nel mondo del lavoro, nel mondo della scuola.

Oggi la speranza che da tempo avevo in Matteo Renzi è diventata fiducia. La differenza fra i due stati d'animo è, per dirla con Matteo, in una data. Quella di oggi.

Ho però trovato sconcertante il giudizio di politici e giornalisti che si sono limitati a contare gli applausi ricevuti da Renzi o a criticare il tono acceso del suo discorso ("da campagna elettorale" hanno detto, come se non si potesse fare un discorso programmatico con passione e coinvolgimento).
Ma come potevano applaudirlo se ha esordito dicendo "mi auguro di essere l'ultimo Presidente del Consiglio a chiedere la fiducia a quest'aula"?? Come potevano approvare un discorso che ha chiaramente messo in luce tutte le inadempienze di quell'aula in termini di semplificazione burocratica, creazione di posti di lavoro, valorizzazione della cultura  e pace sociale??
Chi ha applicato l'applausometro come metro di giudizio sul discorso di Renzi, o ha criticato la sua postura poco formale, sta facendo un gioco pericoloso per il Paese, sta spostando l'attenzione da quello che Matteo ha detto.

Ecco, in Renzi ho fiducia. Ma mi tocca anche, come sempre in questo sgangherato Paese, continuare a sperare: che lo lascino fare.



19 febbraio 2014

I nuovi domini, la vecchia SEO... e perché ci vorrebbero dei filosofi che si occupassero di standard ed Information Technology (CAPITOLO 3)

(... SEGUE)

Nei capitoli precedenti (1 e 2) abbiamo visto come l'innovazione introdotta coi nuovi domini gTLD non è che sia poi così utile.
La giungla di nomi più o meno interessanti, più o meno comprensibili, più o meno utili che si verrebbe a creare sarebbe probabilmente solo un fastidio per l'utente finale.

Ci troviamo, quindi, di fronte alla concreta possibilità che questa "giungla" non prenda mai piede. Vediamo perché.

Si è detto che, in ultima istanza, un nome di dominio del nuovo tipo potrebbe essere utile solo nel caso in cui il sito web ospitato ottenesse dei vantaggi in termini di posizionamento nei motori di ricerca. Ma, secondo la nostra analisi, questo non avverrà.

Abbiamo visto (Cap. 2) che l'utente-tipo molto probabilmente si rifiuterà di abbandonare l'attuale standard cui è abituato (le ragioni sono al Cap. 1) ed in fase di scelta dei risultati all'interno di una SERP (pagina dei risultati di un motore di ricerca) sarà portato al clic sui domini "di vecchio tipo".

Ora, per chi conosce la SEO, o almeno segue le analisi spesso presentate in questo blog, i motori di ricerca negli ultimi 3-4 anni hanno sempre cercato di introdurre "il fattore uomo" nei propri algoritmi. Il principale promotore di questa strategia è sempre stato Google, leader indiscusso di mercato, che ha usato, e usa tuttora, molte variabili nel proprio algoritmo che si basano sulla valutazione che l'utente fa di un sito (implicita nei suoi comportamenti). Dal primo clic in una SERP al +1 di Google Plus, passando per valori come Frequenza di Rimbalzo e Tempo di Permanenza sul sito, sono tutti indicatori di pertinenza o meno di un sito web rispetto ad una query di ricerca.

Se quindi Google dà tale importanza ai comportamenti degli utenti, è molto probabile che la scelta del nostro vecchio Plinio (vedi Capitolo 2, punto A.4.3) influenzerà negativamente il posizionamento dei nuovi domini.
E venendo a mancare l'unica vera ragione per cui un proprietario di un sito web potrebbe volere un nuovo naming, ecco che tutta questa storia dei gTLD si sgonfia e collassa su se stessa.

Tuttavia, prima che il mercato si accorga di quello che "la vecchia SEO" ci ha svelato in pochi logici passaggi, ci sarà comunque la corsa all'acquisto. Faccio quindi appello ai SEO Specialist, affinché non alimentino false speranze circa mirabolanti fattori di posizionamento!

In chiusura vorrei toccare un argomento che, come dimostra il titolo di questi 3 capitoli-post, ho avuto in mente fin dall'inizio. Ed il tema è: chi decide per noi e perché?
La vicenda della liberalizzazione dei suffissi di dominio, sebbene gestita da un ente (l'ICANN) che almeno sulla carta è no-profit, ha mostrato come scelte di carattere PLANETARIO, che incidono più o meno significativamente sulla vita delle persone, non contemplino la valutazione delle loro esigenze.

Il Web è il luogo più popolato del pianeta; entro il 2015 si prevede che almeno la metà della popolazione mondiale, stimata in 7.3 miliardi di persone, sarà connessa a Internet. Le decisioni che riguardano un luogo tanto vasto e tanto popolato non possono essere prese con leggerezza, non possono essere nelle mani degli stati, delle multinazionali, delle lobbies, delle associazioni, dei consorzi, e nemmeno lasciate all'arbitrio dei molti uomini di buona volontà che pure esistono e fanno la loro parte per rendere la rete un luogo/non-luogo migliore.

Ci vogliono nuovi professionisti, nuovi pensatori che ci aiutino a pensare come dev'essere quella terra promessa dove si incontreranno e convivranno più di 3 miliardi e mezzo di persone.
Gli stati dove viviamo li hanno costruiti, più che le guerre, le pacificazioni, le annessioni, le cessioni, le immigrazioni o i cataclismi naturali, i pensatori. I filosofi.

Nella società della velocità siamo abituati al tutto e subito, per cui non abbiamo "le competenze" per esercitare l'antica arte del pensiero lento. Ci manca il know-how per fermarci e riflettere su come deve essere qualcosa. Per mille ragioni, tendiamo a realizzarla mentre la pensiamo, con inevitabili errori e ulteriore dispendio di energie per la fase di correzione. Questo nel Web è la normalità (chi ha fatto project management in tale ambito sa di cosa parlo).

Ma quando si tratta di definire degli standard, quando ci sono scelte che riguardano miliardi di persone, varrebbe la pena di pensarci un po' su. Ci vorrebbero, forse, proprio dei filosofi a proporre le innovazioni, non solo per i nomi di dominio, ma per gli algoritmi dei motori di ricerca, per le problematiche relative alla proprietà intellettuale, per la raccolta/gestione/proprietà dei dati, per la privacy, per i monopoli dei grandi gruppi .com, per le regole di gestione e auto-gestione del Web.
Non degli ingegneri, non dei marketer, non dei manager, ma dei filosofi dell'Information Technology.

(FINE)

13 febbraio 2014

I nuovi domini, la vecchia SEO... e perché ci vorrebbero dei filosofi che si occupassero di standard ed Information Technology (CAPITOLO 2)

(... SEGUE)

Nel post precedente sui nuovi domini gTLD, ho esposto delle tesi solo apparentemente astratte, che in realtà nascondono riflessioni tutt'altro che banali.
In particolare, riflettevo sul perché il cambio di "standard" (o più precisamente l'ampliamento delle possibilità nei naming di dominio) non abbia ragioni sufficienti per essere introdotto, se si fa un balance costi/benefici dell'operazione. In particolare:

A - I nuovi domini non servono all'utente web "medio" (ovvero la stragrande maggioranza degli internauti)
Ponetevi nei panni di un signore di mezza età, che chiameremo Plinio, il quale deve fare un viaggio di piacere a Roma e vuole prenotare un hotel in centro città, tramite Web. Ha, schematizzando al massimo, quattro possibilità:
  1. chiede ad amici se gli consigliano un hotel e gli mandano il link del sito web;
  2. si cerca da solo consigli sui Social Network;
  3. cerca informazioni su portali dedicati di tipo informativo, di booking o misto (info+booking);
  4. cera l'hotel tramite i motori di ricerca.
Nei casi 1, 2 e 3 è palese che il dominio non gioca alcun ruolo nella scelta di Plinio, né nella possibilità per l'hotel di essere trovato. Che il sito web si trovi su hoteldomusaurea.itdomusaurea.hotel, oppure hoteldomusaurea.city è irrilevante. Plinio nei casi 1 e 2 prima trova un hotel, poi il dominio associato. Nel caso 3, addirittura, Plinio potrebbe non sapere mai quale sia il dominio dell'hotel, poiché vedrebbe le foto, i prezzi, la localizzazione sulla mappa e prenoterebbe direttamente dal portale di booking.
Resta il punto 4 nel quale, ahinoi, il dominio un qualche ruolo nella scelta ce l'ha.

Procedendo sempre con una semplificazione, vediamo dove potrebbe essere importante il dominio nella scelta di Plinio, qualora decidesse di cercare un hotel su Google:
  1. nel posizionamento organico del sito dell'hotel in base alle parole chiave digitate;
  2. nell'algoritmo di AdWords per l'uscita degli annunci a pagamento di Google;
  3. nella scelta di cliccare o meno sui risultati che appaiono in una stessa SERP di Google;  
Nei punti 1 e 2 sfociamo rispettivamente nella SEO (Search Engine Optimization) e nel SEM (Search Engine Marketing). In entrambi i casi non gioca alcun ruolo la scelta di Plinio, che si troverebbe davanti risultati frutto dei complessi algoritmi di Google (e del lavoro di qualche SEO/SEM Specialist, ovviamente).

Siamo quindi arrivati al punto 3, unico vero momento in cui, per il buon vecchio Plinio, il dominio gioca un qualche ruolo (conscio o inconscio) nella scelta del sito web da visitare.
Che si tratti di risultati "organici" (centro pagina, per intendersi) o a pagamento (in altro e nella fascia destra), Google presenterebbe i risultati a Plinio con questo schema, ormai familiare a molti:
  1. NOME HOTEL A ROMA
  2. www.naming-dominio.qualcosa
  3. Breve descrizione dell'hotel, dei suoi servizi
    o della zona della città in cui si trova.
Vi risparmio gli studi di psicologia cognitiva che spiegano come i nostri cervelli elaborino simultaneamente le informazioni visive legate ai 3 elementi, di quanto impulsiva sia la navigazione web e di quanto sia importante il copywriting di ogni singola riga per catturare l'attenzione del target. Vi dico solo che sì, in questo caso, il nome del dominio (riga 2) gioca un ruolo. 
Ma...

Crediamo davvero che, a parità di altri fattori, il suffisso dei nuovi gTLD sia importante?
Il nostro Plinio avrebbe preferenze, per uno stesso sito, tra questi domini

    • hoteldomusaurea.it
    • domusaurea.hotel
    • hoteldomusaurea.city ?

E se dovesse scegliere fra siti diversi, non sarebbe addirittura stancante visivamente destreggiarsi fra fantasiosi risultati? Tipo:

    • hotelromano.booking
    • hotelroma.city
    • colosseo.hotels
    • colosseo.hotel

Davvero credete che importi qualcosa all'utente scegliere tra colosseo.hotels e colosseo.hotel??
Sono più propenso a credere che il nostro vecchio Plinio, confuso e smarrito, cercherà con gli occhi un banale hoteldomusaurea.it, o al limite hotel-domusaurea.it.

E qui si chiude il cerchio!
Gli specialisti SEO e SEM avranno già capito, ma rimando ad un successivo capitolo la spiegazione del cuore del problema e proseguo con la dimostrazione delle altre due tesi del CAPITOLO 1.

B - I nuovi domini hanno una qualche utilità, minima, per chi deve registrare un nuovo sito
Poniamo che il proprietario dell'Hotel Domus Aurea a Roma, un certo Nerone, decida con un bel po' di ritardo rispetto ai suoi competitor di farsi fare un sito web per acquisire visibilità e nuovi clienti.
Fra le primissime decisioni che deve prendere, Nerone deve scegliere il dominio che ospiterà il suo sito.
Propone hoteldomusaurea.it, ma la Web Agency gli dice che è occupato. Chiede domusaureahotel.it hotel-domusaurea.it, ma anche questi sono andati. Prova con hotel-domus-aurea.ithoteldomusaurea.eu, ma anche questi sono registrati.
Ora, al di là del fatto che è un caso assurdo (infatti nell'esempio di cui sopra solo hoteldomusaurea.it è realmente registrato), in questa specifica situazione al nostro Nerone potrebbe convenire giocare con una qualche combinazione di nuovi domini .hotel, .hotels o magari .rome (se e quando sarà rilasciato). Ammesso però di trovarli liberi...
E qui veniamo alla terza tesi che è in realtà un'evidenza.

C - I nuovi domini portano vantaggi veri solo ai fornitori dei servizi di registrazione
Come si può intuire da uno scenario come quello che si va profilando nel campo dei nuovi domini, è molto probabile che si scatenerà una corsa alle registrazioni di naming fra i più fantasiosi, un po' come è già successo agli albori del Web, quando il dominio era tutto e la SEO non esisteva.
I fornitori dei servizi di registrazione dei nuovi domini (che chiedono, per le nuove desinenze, da 2 a 6 volte il prezzo medio dei normali domini nazionali) saranno quindi i veri beneficiari dalla liberalizzazione introdotta dall'ICANN.

Anche in epoca più recente, infatti, la corsa alla registrazione di domini non si è mai arrestata, un po' per ignoranza, un po' per ragioni di marketing, un po' perché il dominio gioca ancora un ruolo (seppure minimo) nei fattori di posizionamento dei principali motori di ricerca.
E qui si apre un nuovo scenario, collegato ai precedenti aspetti A.4.1 e A.4.2, nonché alla chiusa del CAPITOLO 1. E alla necessità che nell'IT ci inizi a lavorare qualche filosofo bravo.

(CONTINUA ...)

11 febbraio 2014

I nuovi domini, la vecchia SEO... e perché ci vorrebbero dei filosofi che si occupassero di standard ed Information Technology (CAPITOLO 1)

Ieri ho seguito un seminario online sul rilascio dei nuovi domini. E ne sono uscito piuttosto turbato.

La liberalizzazione dei "generic top-level domain" (per capirsi, il suffisso che trovate dopo il punto nell'indirizzo di un sito web), ha infatti dato il via ad una nuova era nelle scelte dei naming di dominio, in cui il limite della caratterizzazione geografica (.it, .de, .eu, ecc.) o del settore economico (.com, .org, .gov, .net) viene definitivamente superato. Saranno infatti registrabili domini .app, .music, .auto, .tokyo, .bio, .fun, .game, .fashion e altri migliaia di nomi per ogni esigenza.

Occupandomi ormai anche di hosting con GESTA, volevo approfondire le opportunità di questa "apertura" rispetto agli standard a cui siamo stati abituati fino ad oggi, così da poter consigliare per il meglio quanti affrontano la delicata scelta del nome di dominio per il proprio sito web.
Ebbene, dopo il webinar, ho perfino rafforzato lo scetticismo che avevo rispetto l'argomento, fin dall'avvio di questa "rivoluzione" nel 2011 da parte dell'ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers).

Vi risparmio i dettagli tecnici su come si prenoti un dominio di nuovo tipo (comunque non semplici), e vengo al nodo della questione.
Chi di voi sarebbe disposto, oggi, subito, a cambiare mano con cui scrive?
Chi di voi sarebbe disposto, oggi, subito, a cambiare sistema operativo di PC o smartphone?
Chi di voi sarebbe disposto, oggi, subito, a cambiare marca di collutorio?

Con gradi diversi di convinzione e percentuali diverse di adesione, tutti voi, alle provocatorie domande di cui sopra, vi sarete sicuramente domandati: "Ma perché mai dovrei cambiare abitudini??".
In altre parole, ci deve essere una ragione per decidere di abbandonare uno standard. E deve essere una ragione tanto più convincente quanto minore è il tempo per attuare il cambiamento e pesante lo sforzo per abbandonare la vecchia abitudine. Chiedetelo agli anglosassoni, che continuano a guidare a sinistra, mentre il mondo intero guida in senso contrario. E, volendo, avrebbero avuto centinaia d'anni per adeguarsi.
Ed è questo il punto.

Il naming di domino, con le sue regole di composizione, è uno standard, un'abitudine familiare sul come trovare "cose" nel mare del Web. E l'uomo è un animale abitudinario, vive nella sicurezza degli standard. Windows è uno standard, Android è uno standard, la tastiera QWERTY con cui scrivo è uno standard (pessimo standard, tra l'altro, che ha curiose ragioni storiche per la sua affermazione).
Una cosa può anche essere scomoda da usare, ma devi avere ragioni sufficientemente forti per decidere di cambiare. Io ho decine di amici grafici che in 10 anni di professione hanno provato a convincermi che i Mac della Apple siano migliori dei PC equipaggiati da software Microsoft. Ed io potrei anche credergli (anzi, gli credo, senza condizionale). Ma perché dovrei cambiare?? Il disagio di dover riavviare una volta al mese il mio PC che si impalla (anche meno, ora che ho Windows 8) vale una curva di apprendimento di un paio di mesi in cui lavorerò dal 30% al 70% della mia abituale velocità, nonché una spesa circa doppia al cambio dell'hardware?
La riposta è no.

E qui siamo al punto. Ci sono ragioni/esigenze sufficientemente forti per imporre a miliardi di persone un nuovo standard nel naming dei domini? E soprattutto, di chi sono le ragioni/esigenze per introdurre il cambiamento? Di chi fornisce i domini, di chi i domini li registra o di chi navigherà fra quei domini?

La mia opinione è che:
  1. non c'è alcun vantaggio per l'utente web (anzi)
  2. ci sono vantaggi minimi per chi deve registrare un nuovo dominio di un nuovo sito web
  3. ci sono vantaggi reali solo per i provider di servizi di registrazione domini 
E poi c'è una categoria di individui, nei quali mi ascrivo, che maledirà per anni questa innovazione: i SEO specialist.

(CONTINUA...)