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1 agosto 2013

Perché non esiste il bottone "Non mi piace" su Facebook. E perché Zuckerberg sbaglia a non volerlo mettere.


Quella che segue è la traduzione italiana di un post che avevo scritto 4 mesi fa per il blog di Cubeyou (perennemente in cantiere). Visto che è un tema che sta tornando alla ribalta (perché pare che Zuckerberg si stia ricredendo), ho pensato di pubblicare il post; così, quando in Facebook troverete il pulsante Dislike, saprete il perché. 

La storia del pulsante “Non mi piace” su Facebook è lunga e piena di false notizie, campagne virali, spam e strategie di marketing di dubbio valore.
Partiamo dal fatto che il pulsante, ad oggi, non esiste e che in nessun momento della storia di Facebook sia mai apparso un restyling che lo prevedesse, nemmeno per una fase di test.
Tuttavia è certo che se ne sia parlato nei quartieri generali di Facebook, perché è una richiesta che milioni di utenti hanno avanzato al Social Network di Mark Zuckerberg. Non si contano infatti le pagine, i gruppi, le comunità e i profili creati allo scopo, proprio sul social network più utilizzato di sempre. Ecco qualche esempio di nomi eloquenti:

  • Dislike
  • Dislike Button
  • We need a "dislike" button on Facebook 
  • Hello Mr.Zuckerberg, we need a "Dislike"…
  • We Want a Dislike Option
  • We Want A Dislike Button

Si tratta forse della modifica alla piattaforma più richiesta in assoluto, quella che ha trovato maggior consenso e maggiore diffusione su siti web, blog e forum di discussione.
Ma allora perché il buon Mark non l’ha mai ascoltata?


In fondo ci sono esempi di canali dove questa valutazione negativa esiste da molto tempo e non ha mai generato problemi. Si veda YouTube, dove il pulsante “Non mi piace” è parte integrante dell’algoritmo che genera contenuti pertinenti e rilevanti rispetto alle ricerche per parole chiave fatte dagli utenti, sia dentro che fuori dalla piattaforma di broadcasting.

Eppure Mark Faccia D’Angelo sembra convinto che gli utenti di Facebook non saprebbero gestire un pulsante di “disapprovazione”, col rischio di generare negatività su negatività all'interno della sua creatura.
Potendo distribuire solo I-Like, invece, gli utenti Facebook sono in qualche modo costretti ad adottare sulla piattaforma un atteggiamento buonista, nel quale prevale di gran lunga l’atteggiamento “pro” rispetto a quello “contro”.
E questa tipologia di interazione è quella che i brand, le aziende e i grandi gruppi che investono in advertising su Facebook preferiscono, poiché sarebbe spiacevole trovarsi una valanga di disapprovazione verso un proprio prodotto/servizio/iniziativa.


Ma Facebook in questo sbaglia, almeno per quattro motivi. Vediamoli.
  1. Per prima cosa bisogna tener presente che l’uomo “è programmato” per funzionare con modalità binaria: Positivo/negativo, Felice/Triste, Riposato/Stanco, A Favore/Contrario, Piace/Non piace. Con mille sfumature fra i due opposti, ma pur sempre con entrambe le “modalità” sempre presenti nella propria vita (e addirittura coesistenti nell'arco stesso di una giornata).
    Per questa ragione antropologica gli utenti aggirano sistematicamente le limitazioni del Social Network e trovano mille vie per manifestare il proprio dissenso, spesso peggiori del sintetico “I Dislike”. 
    Ecco quindi che, anche se non è possibile fare un “Non mi piace” alla pagina di Berlusconi, tanto per fare un esempio, nascono centinaia di pagine che hanno come solo scopo la manifestazione del dissenso e della disapprovazione verso questo personaggio pubblico italiano.
    Ed anche se spesso queste pagine hanno un numero di fan generalmente inferiore a quello del brand o del personaggio di cui parlano male (dai 10 ai 100.000 Mi piace), la somma dei diversi fan sulle diverse pagine supera di gran lunga il totale degli I-Like che può avere la pagina ufficiale del personaggio pubblico. Un sorta di teoria della Coda Lunga, applicata al Social Media Marketing. (NdR: chiedete ad un SEO specialist la spiegazione del concetto di Long Tail)
  2. Veniamo quindi al secondo motivo, direttamente collegato al primo, per cui Facebook sbaglia a non permettere il “Dislike”.
    Questi focolai di discussione per parlare male di qualcosa o qualcuno sono l’incubo di ogni Social Media Manager, perché è praticamente impossibile riuscire ad avere una visione d’insieme di cosa la gente pensa del brand di cui si sta gestendo la comunicazione online.
    E quindi la piattaforma è comunque vista da chi si occupa di Social Media Marketing come un luogo problematico, dove non è possibile seguire le conversazioni più negative sul brand, proprio perché avvengono su pagine o gruppi o comunità non gestiti dal brand stesso.
  3. Il terzo aspetto è la diretta conseguenza degli altri due: se il brand non può ascoltare il dissenso, se non può instaurare conversazioni con gli utenti, muore il marketing 2.0, crolla ogni possibilità di miglioramento del prodotto/servizio offerto sulla base gli input degli utenti.
    E ci perdono tutti, brand e utenti. Il primo perde l’opportunità di migliorare e continuare a vendere o vendere di più, i secondi non vedranno mai realizzate le loro richieste.
  4. C’è una quarta motivazione per cui Mark Zuckerberg dovrebbe introdurre il pulsante “I Dislike”, ed una ragione che i Marketing Manager stanno sempre più prendendo in considerazione. I dati di Facebook sono estremamente “sporchi”. Non solo non è possibile calcolare con precisione il dissenso attorno ad un brand/servizio/personaggio, ma è anche impossibile stimarne il reale apprezzamento.
    Ci sono studi nei quali si scredita il valore dell’I-Like, dimostrando che una grande percentuale di utenti ha un atteggiamento superficiale nell'attribuzione di questo tipo di social reference (si legga, ad esempio, “L’I-Like Facile in Facebook”).
    L’unico sistema statisticamente accettabile per depurare questa percentuale sarebbe l’utilizzo dei “Non mi piace” come fattore correttivo, per arrivare ad ottenere un Valore di Apprezzamento Netto (“N° Mi piace” – “N° Non mi piace”= VAN). Supponendo infatti che gli utenti che attribuiscono superficialmente gli I-Like siano simili come cluster a quelli che attribuiranno i Dislike, si arriverà ad ottenere un dato significato ed utilizzabile per gli scopi di social analytics, grazie all’annullamento del rumore di fondo dato da questi cluster socio-comportamentali fuori controllo.

Quindi, Mark, ascolta la voce del “tuo” popolo: fagli dire quello che vuole!
... Te ne saranno grati non solo gli utenti di Facebook, ma anche tutti i Social Data Analysts, i Social Media Specialists e, soprattutto, i Marketing Manager che amano i “dati puliti” e significativi.