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3 marzo 2007

La leggenda dell'Ebreo Errante

Qualche giorno fa mi veniva in mente la Leggenda dell'Ebreo Errante. Se ne trovano in letteratura diverse forme, con leggere differenze, poiché appartiene ad una tradizione orale molto antica, che solo nel 1235, nel libro "Flores Historiarum" di Roger de Wendover, appare scritta per la prima volta. Comunque la storia è all'incirca questa:

Quando Gesù fu condannato alla crocifissione e fu costretto a portarsi la propria croce da sé, a metà strada si fermò a riposare davanti ad una bottega. Attratto dalle urla della folla uscì dalla bottega un uomo: “Va più lontano! Non voglio che tu ti riposi davanti alla mia bottega!”, disse irato l’uomo avendo paura di fare la stessa fine del Maestro. Gesù rispose: “Io andrò e fra poco riposerò, tu andrai e mai ti fermerai, come il popolo ebraico”. Mentre sul Golgota si eseguiva la condanna capitale di Gesù e dei due ladroni, il proprietario della bottega iniziò il suo eterno errare. La sua presenza è stata segnalata ovunque per il mondo, ed in ogni periodo storico; un particolare lo contraddistingue: la sua ombra non si ferma mai sul terreno, a ricordo del suo tormento.
Ci sono poi versioni che a dire il vero mi piacciono di più, dove l'Ebreo è condannato ad errare come punizione per aver negato un sorso d'acqua a Gesù; in questa versione vedo la condanna al vagare senza meta come una metafora della Ricerca inappagata, della sete impossibile da soddisfare,... poiché si ha sete di quell'Acqua che appaga per l'eternità, quella Fonte che si è rifiutato di riconoscere. C'è chi vede nella Leggenda dell'Ebreo Errante il simbolo dell'intera razza ebraica, destinata a vagare per il mondo dopo la diaspora, e chi, secondo uno studio più critico su questa tradizione popolare, riconosce le tracce della propaganda antisemita che ebbe inizio nel IV secolo d.C. ad opera dei cristiani. Ma al di là di quanto possa esserci di vero nelle origini di tale racconto, resta il potere evocativo di un'immagine unica nel suo genere: questo personaggio che non può fermarsi in nessun luogo, che è condannato a vagare assetato di riposo e di pace interiore, e che sconta una colpa enorme.
...Beh, io ancora non ho capito qual è la mia colpa.

Le radici artificiali

In questi giorni, a Trento, ho meditato sul "perché" delle mie ultime scelte.
Ieri ho svolto e superato l'esame ISVAP per l'iscrizione all'albo dei Consulenti Assicurativi e Finanziari, la settimana prima ho firmato il compromesso per l'acquisto di un appartamento, e tra un po' inizierò anche l'avventura universitaria qui.
Quando mi guardo dall'alto, non mi riconosco. Nel senso che, in fondo in fondo, sento di fare qualcosa non proprio consono alla mia natura. Mi sento portato per una libertà assoluta, senza vincoli o legami che possano limitare la mia voglia di fare e conoscere. Eppure ho intrapreso una strada diversa. In effetti, mi sono reso conto che quello che sto facendo è un po' un pormi dei limiti, dei paletti, delle radici in un luogo ed un contesto, in modo da poter contenere questo spirito peregrino che mi ritrovo.

Anche se distante dal mio paese, qui ho sempre l'opportunità di incontrare i miei amici e parenti. Qualche settimana fa sono saliti i miei genitori, la settimana prima era venuta mia cugina Ada da Roma, e tra qualche giorno spero di riuscire ad andare a trovare un amico a Venezia.
Insomma, queste occasioni di incontro ripagano ampiamente delle rinunce fatte.
Ma quanto può durare ciò?